Il quesito posto ruota intorno alla natura (processuale o sostanziale) del termine per il versamento del saldo prezzo.
A questo proposito ve detto che entrambe le soluzioni prospettabili sono suffragate da fondati argomenti.
A sostegno della tesi che riconosce natura negoziale al termine per il versamento del saldo milita la considerazione che i termini processuali sarebbero quelli fissati per le parti del processo, e tali non sono, secondo la giurisprudenza gli offerenti (Cass. civ., s.u., 11 aprile 2012, n. 5701; analogamente, Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2014, n. 7708, secondo cui “colui che presenta offerte nella vendita forzata non è una delle parti del processo esecutivo, se non dal momento in cui si manifesti un contrasto – ancorché non formalizzato in opposizione agli atti esecutivi – in cui egli sia coinvolto e per il quale sia richiesto l'intervento regolatore del giudice dell'esecuzione”); ergo, la disciplina della sospensione dei termini processuali ad essi non dovrebbe applicarsi.
In senso favorevole alla natura processuale del termine interviene invece l’osservazione secondo la quale detto termine ha natura processuale perché si colloca all’interno del processo esecutivo con riferimento ad un adempimento dal quale deriva il successivo svolgersi della procedura in una direzione piuttosto che in un’altra. Detto altrimenti, si tratterebbe di uno dei termini entro il quale deve essere compiuta un’attività tipica del processo esecutivo per espropriazione forzata, il che giustifica la sottoposizione dello stesso alle regole dettate dalla legge 742/1969.
La giurisprudenza di legittimità ha fatto proprie queste ultime considerazioni, osservando che “Il termine per il versamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario non ha funzione sostanziale (o essenzialmente tale), atteso che lo stesso si inserisce nel procedimento esecutivo, ma non lo conclude, per costituire il versamento del prezzo adempimento prodromico al trasferimento del bene, da cui la natura processuale del termine di cui si tratta, in quanto inteso a scandire il compimento di atti aventi natura processuale, diretti a concludere la fase del processo esecutivo” (Cass. civ., sez. I, 13 luglio 2012, n. 12004. Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1987, n. 420 si era invece occupata del caso, simile, relativo al termine per il deposito dell’offerta in aumento ex art. 584 c.p.c., pronunciandosi anche in tale occasione per l’applicabilità della disciplina della sospensione feriale dei termini).
il termine per il versamento del saldo prezzo sconta dunque, secondo la giurisprudenza appena citata, la soggiacenza al regime della sospensione durante il periodo feriale (non pare superfluo ricordare, a questo proposito, che secondo la citata Cass. n. 7708/2014, proprio partendo dall’assunto per l’aggiudicatario è parte processuale, gli ha imposto l’onere di far valere il rimedio generale dell’aliud pro alio attraverso lo strumento della opposizione agli atti esecutivi, e dunque nel termine di cui all’art. 617 c.p.c., osservando che “l'argomento dirimente, ad avviso del Collegio, nel senso dell'estensione anche all'azione di aliud pro alio intentata dall'aggiudicatario del regime ordinario dell'opposizione agli atti esecutivi e del relativo ordinario termine decadenziale, si ravvisa peraltro nell'assunzione, ad opera di quegli, della qualità di parte di un processo - quale quello esecutivo - caratterizzato da un sistema chiuso, tipizzato ed inderogabile, di rimedi interni”).
Ciò detto, e venendo alla natura che il suddetto termine assume in seno alle vendite fallimentari, riteniamo che non vi siano elementi per argomentare diversamente rispetto a quanto accade nelle vendite esecutive individuali.
Occorre a questo fine muovere dalla premessa normativa, contenuta nell’art. 36-bis l.fall., secondo cui “Tutti i termini processuali previsti negli articoli 26 e 36 non sono soggetti alla sospensione feriale” (la disposizione è stata inserita dall'art. 33, comma 1, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5).
Per comprende questa norma, ai fini che qui interessano, occorre muovere dalla constatazione per la quale, nel sistema previgente alla riforma del 2006, l'originario art. 105 l.fall. disponeva che "alle vendite di beni mobili o immobili del fallimento si applicano le disposizioni del codice di procedura civile relative al processo di esecuzione, in quanto compatibili con le disposizioni delle sezioni seguenti".
Tale rinvio, e la riserva di compatibilità in esso contenuto, ha chiaramente alimentato una profluvie di incertezze interpretative.
L’ottica del legislatore del 42 era comunque chiara: l’esistenza di un modello processuale compiuto (quello del codice di rito) appena varato dal legislatore, rendeva superfluo il conio di un procedimento di liquidazione ad esso alternativo.
Il modello concepito nella legge fallimentare ha tuttavia mostrato, nel corso di oltre mezzo secolo, una serie di limiti, tra i quali certamente quello di una eccessiva rigidità, poiché la prassi avvertiva come gli schemi della vendita esecutiva individuale non sempre erano i grado di appagare le peculiari esigenze della procedura fallimentare.
Di queste difficoltà si è fatta carico la riforma del 2006, con la quale si è attuato un disegno complessivo di deformalizzazione e degiurisdizionalizzazione, del quale ha fatto parte anche l'abbandono delle ingessate forme delle vendite; oggi, infatti, è il curatore che, di volta in volta, sceglie le modalità di liquidazione da seguire in relazione agli specifici beni, nel rispetto dei soli parametri generali fissati dall'art. 107, comma primo, l.fall.: competitività della procedura di scelta dell'acquirente, congruità dei valori di stima del bene posto in vendita, adeguatezza delle forme di pubblicità.
Rispetto a questo schema, la vendita secondo le norme del codice di procedura civile rappresenta non più il paradigma da seguire, ma solo una possibile alternativa.
Pur a fronte della semplificazione operata dal primo comma dell’art 107, rimane il dato, pacifico in giurisprudenza (e rilevante ai fini del quesito posto), per cui la vendita fallimentare, qualunque sia il modello attraverso il quale essa si svolge, rimane vendita coattiva, sicché, ad esempio, in tema di vendita mobiliare il trasferimento della proprietà non si produce per effetto dello scambio dei consensi legittimamente prestato (come avviene in ambito negoziale) ma con l’integrale versamento del saldo prezzo (cfr. Cass., sez. I, 25 ottobre 2017, n. 25329).
Allo stesso modo, si è ritenuto che abbia natura processuale, e come tale soggiacente al regime della sospensione feriale dei termini processuali prevista dall'art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, il termine per il versamento del saldo del prezzo (Cass. Sez. I, 13 luglio 2012, n. 12004). Ciò in quanto ai sensi del combinato disposto dell'art. 92 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (ordinamento giudiziario) e degli artt. 1 e 3 della L. 7 ottobre 1969, n. 742, l'unica eccezione alla regola della sospensione, per quanto attiene al processo esecutivo, è espressamente prevista per i procedimenti di "opposizione all'esecuzione", compresi tra gli "affari civili urgenti" di cui al citato art. 92.
Dunque, tra gli affari civili urgenti, previsti dall'art. 92 dell'ordinamento giudiziario ed esclusi, a norma della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, dalla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, di cui all'art. 1 della medesima legge, non sono comprese le vendite fallimentari (così Cass., sez. I, 28 giugno 2006, n. 14979 pronunciata con riferimento al regime previgente alla riforma del 2006, sopra citata).
Questa impostazione interpretativa, letta congiuntamente al citato art. 36-bis, porta dunque a ritenere che il procedimento di vendita soggiace al regime della sospensione feriale dei termini processuali, a prescindere dalle modalità attraverso cui si svolga, con la conseguenza che se si accede all’idea per cui il termine per il versamento del saldo sia termine processuale, esso rimane sospeso sia che si tratti di vendita esecutiva, sia che si tratti di vendita fallimentare.