Cerchiamo di rispondere con ordine.
Quanto al potere di revoca dei propri provvedimenti, e dunque anche di quelli adottati dal professionista delegato, il quale, appunto è un delegato del giudice, ausiliario sui generis, esso è insito nel potere di direzione del procedimento che viene assegnato dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 484 c.p.c., e trova espressa conferma nell'art. 487.
Del resto, la Corte di Cassazione ha ribadito in più occasioni che "al giudice dell'esecuzione deve essere riconosciuto un potere di modifica e revoca, anche di ufficio, delle proprie ordinanze fatta salva la condizione che le ordinanze stesse non siano già state portate ad esecuzione" (Cass. Sez. III, 16/09/2008 n. 23709), e sarebbe ontologicamente incompatibile con l'istituto della delega l'impossibilità per il delegante di avocare a sé i poteri delegati e rivedere l'operato del proprio ausiliario.
Quanto ad un ricorso sistematico all'istituto del reclamo ex art. 591 ter, si tratta in effetti di una pratica difforme rispetto allo spirito della norma, che è quello di consentire il rimedio (solo) quando "insorgono difficoltà".
Questo determina anche una parziale modifica degli strumenti di tutela, che è insita nella disciplina del 591-ter c.p.c.. Invero, quando a ricorrere al giudice è il delegato, il decreto emesso dal magistrato è reclamabile. Proposto reclamo il giudice decide con ordinanza a sua volta reclamabile dinanzi al collegio.
È evidente allora che il reclamo non innesca il meccanismo di cui all'art. 617 c.p.c., come invece la norma prevedeva prima della riforma introdotta con il d.l. 83/2015, e come il legislatore si premura di specificare nella relazione alla legge di conversione, dove si legge che il reclamo ex art. 669-terdecies costituisce «un rimedio impugnatorio» introdotto, in luogo dell'opposizione agli atti esecutivi, «al fine di accelerare la definizione delle pendenze», e quindi, soprattutto, non è prevista la bifasicità del relativo procedimento, nel senso che con l'ordinanza che decide sul reclamo il giudice non deve fissare il termine per l'introduzione del giudizio di merito (In dottrina è stato osservato che con la modifica dell'art. 591-ter c.p.c., analogamente a quanto avviene con i reclami ex artt. 26-36 l. fall. nella liquidazione dell'attivo, "il legislatore ha voluto eliminare dal controllo sugli atti del professionista le forme della cognizione piena che caratterizza l'opposizione agli atti esecutivi, confondendo (sic!) il reclamo al collegio nel procedimento camerale con quello cautelare"). Inevitabile corollario, allora, sarà che il provvedimento adottato dal collegio in sede di reclamo avrà, necessariamente, carattere definitivo.
Resta sostanzialmente insoluto il tema del se e del come il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi possa concorrere con il reclamo proposto ex art. 591-ter c.p.c.
Invero, taluno sostiene che il reclamo sia mezzo esclusivo e necessario, per cui se non vengono impugnati gli atti del professionista delegato, o se questi vengono confermati dal giudice dell'esecuzione o dal collegio adito in sede di reclamo, i relativi vizi non potranno essere riproposti impugnando ex 617 il decreto di trasferimento. Si osserva in proposito da un lato che il 591-ter prevede già un duplice scrutinio sull'operato del delegato, e dall'altro che il legislatore del 2015 ha consapevolmente espunto dal testo dell'art. 591-ter la previsione per cui «restano ferme le disposizioni di cui all'art. 617 c.p.c.».
Una diversa opinione invece sostiene che la natura cautelare del rimedio non permette di sancirne l'idoneità a supplire, a livello di sistema, alla funzione tradizionalmente assolta dall'opposizione ex art. 617 c.p.c., con la conseguenza che persiste l'impugnabilità del decreto di trasferimento ex art. 617 c.p.c., sia per vizi propri, che per vizi derivati, ossia anche in relazione a profili già oggetto di decisione dinanzi al mentovato collegio del reclamo.
Infine, per quanto attiene ai motivi che rendono conveniente non aggiudicare all'unico offerente, è evidente che, stando alla lettera dell'art. 572 c.p.c., se il creditore addurrà ragioni ostative all'aggiudicazione, non resterà che procedere ad una valutazione caso per caso.