Regime IVA - Applicazione opzione non dichiarata

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  • Ultimo messaggio 06 febbraio 2019
gignikko22 pubblicato 04 febbraio 2019

Buongiorno,

in seguito all'aggiudicazione di un immobile, ho avuto una spiacevole sorpresa nel leggere i conti del saldo prezzo da pagare inviatomi dal professionista delegato. In particolare, a causa dei conti relativi al pagamento delle imposte e dell'IVA.  

In base al numero 8-bis dell’articolo 10 del D.P.R. 633/1972, l'immobile sarebbe dovuto essere esente da IVA in quanto immobile abitativo, ceduto dalla impresa costruttrice, oltre i 5 anni dalla data di ultimazione dei lavori. Tuttavia, ci è stato riferito dal professionista delegato, che per la vendita degli immobili  il curatore ha deciso di applicare l'opzione, prevista dalla Normativa, di applicare l'IVA alla vendita degli immobili del fallimento.Questa scelta di applicare l'opzione non era stata dichiarata sull'Avviso di vendita degli immobili, nè a voce dal curatore fallimentare. Di fronte alla mia richiesta di spiegazioni e di un documento ufficiale che attesti la decisione presa dal Giudice o dal Delegato alla vendita di applicare l'IVA alla vendita dell'immobile, non ho ricevuto nessuna risposta.

E' stata una mia mancanza quella di non essermi informato in maniera più approfondita prima dell'asta sull'applicazione dell'opzione per il pagamento dell'IVA o il curatore avrebbe dovuto scriverlo sull'Avviso di vendita? Posso intraprendere qualche azione per tutelarmi ed evitare questo esborso economico non dichiarato?

Grazie per l'ottimo lavoro che svolgete.

inexecutivis pubblicato 06 febbraio 2019

Come noto, ai sensi dell’art. 10 primo comma, n. 8-bis) ed 8-ter, del d.P.R. n. 633 del 1972 vi sono casi in cui il cedente può optare per l'imposizione IVA del trasferimento immobiliare.

A mente della norma appena citata, l’opzione deve essere esercitata dal cedente, nell’atto di cessione. Si tratta, all’evidenza, di una norma coniata con lo sguardo rivolto verso le transazioni negoziali, sebbene sia ormai noto che anche i trasferimenti che avvengono in sede esecutiva si qualificano, sotto il profilo fiscale, come “cessioni”, sicché soggiacciono al regime tributario per esse individuato dal legislatore (Che anche il trasferimento del bene compiuto nell’ambito di una procedura esecutiva sconti l’IVA è opinione pacifica in giurisprudenza, laddove si è affermato che La vendita in sede di esecuzione forzata di un bene facente parte di un’azienda va assoggettata all’IVA (ed alla imposta fissa di registro), atteso che l’art. 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, definisce al primo comma come cessioni di beni soggette ad IVA gli “atti a titolo oneroso che importano il trasferimento di proprietà”, adottati nell’esercizio di impresa, senza distinzione tra la natura volontaria o coattiva del trasferimento”. Cass. civ., sez. V, 7 luglio 2006, n. 15570).

Traslando questi concetti in sede esecutiva e concorsuale (dove evidentemente per atto di cessione deve intendersi il decreto di trasferimento) si potrebbe ritenere che il debitore esecutato (o il curatore) abbia la possibilità di esercitare questa facoltà fino a quel momento.

Ciò, tuttavia, inevitabilmente crea un margine di incertezza in punto di determinazione del prezzo di aggiudicazione e quindi di costo complessivo della vendita.

Si tratta di un problema che in ambito negoziale chiaramente non si pone, poiché durante le trattative alienante ed acquirente durante le trattative concordano i termini del sinallagma, sicché l’atto di cessione consacra una intesa ovviamente già intervenuta.

In sede esecutiva e fallimentare, invece, entrano in conflitto due contrapposti interessi: da un lato quello del debitore (e del curatore) di scegliere se assoggettare o meno la cessione al regime opzionale dell’IVA, e dall’altro quello della procedura a predeterminare in modo quanto più chiaro possibile i termini della vendita, al fine di evitare incertezze tra i potenziali offerenti. Si tratta, com’è facile intuire, di un interesse giammai fine a sé stesso, ma funzionale a consentire la migliore collocazione del bene pignorato sul mercato,

Così prospettati i termini della questione, la sintesi delle antagoniste esigenze può essere trovata anticipando al momento della pubblicazione dell’avviso di vendita il termine ultimo in cui rimettere al debitore (o al curatore) la facoltà di scelta. Questa soluzione, infatti, se consente di perseguire l’obiettivo di eliminare l’alea rappresentata dal costo delle imposte gravanti sul decreto, dall’altro non pregiudica il debitore (o il curatore), poiché gli consente comunque di esercitare il proprio diritto potestativo. Né si può ragionevolmente sostenere che questo pregiudica la posizione del debitore esecutato o del curatore più di quanto non accada nelle ordinarie transazioni commerciali: è infatti sufficiente osservare che anche in ambito negoziale il venditore non può “tacere” in merito alla opzione iva fino al momento di stipula dell’atto (poiché evidentemente se così fosse l’acquirente potrebbe rifiutarsi di concludere l’affare), e che comunque si tratterebbe di un sacrificio (ove in ipotesi di questo si trattasse) che trova giustificazione nel superiore interesse, di rilievo pubblicistico, alla trasparenza della vendita ed al contenimento dei tempi della procedura.

Venendo al caso concreto osserviamo riteniamo che se il curatore non ha esercitato, al momento della pubblicazione dell'avviso di vendita, l'opzione IVA, non potrà farlo ad aggiudicazione intervenuta poiché questo si tradurrebbe, inevitabilmente, in una unilaterale modificazione del costo complessivo del bene.

Tale modificazione sarebbe inconciliabile con un generale principio di certezza, immutabilità e trasparenza del procedimento di vendita, funzionale ad incentivare la massima partecipazione degli interessa al fine della migliore collocazione del bene sul mercato (su questi concetti cfr Cass. sez. III, 29 maggio 2015, n. 11171).

 in definitiva, l'aggiudicatario può rifiutare di versare l'IVA, chiedendo che sia assolta la sola imposta di registro

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