PROCEDURA FALLIMENTARE NUOVO RITO

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  • Ultimo messaggio 18 giugno 2019
umberto pubblicato 02 gennaio 2019

ho partecipato in recenti trascorsi ad un'asta fallimentare senza incanto per il lotto "A", a me provvisoriamente aggiudicato, ma e' pervenuta offerta migliorativa. Saro' di conseguenza nuovamente convocato dal curatore.

Nella stessa asta nessuno ha presentato offerta per il lotto "B". Nei giorni seguenti ho effettuato un'offerta irrevocabile d'acquisto, previo assenso del curatore, anche per il lotto "B" con offerta minima indicata nell'avviso di vendita.

Potra' essere accettata quella del lotto "B"?

 

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inexecutivis pubblicato 03 gennaio 2019

Per rispondere alla domanda e chiarire il quadro della situazione è necessario svolgere alcune considerazioni.

Le modalità di svolgimento delle vendite fallimentari sono disciplinate dall’art. 107 l.fall..

In primo luogo la norma prevede, genericamente, che le vendite debbano svolgersi mediante “procedure competitive” (comma primo).

Il programma di liquidazione, tuttavia, può prevedere che “le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate… secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili” (comma secondo).

È inoltre previsto (comma quarto) che la vendita possa essere sospesa “ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto”.

Quale che sia la scelta compiuta dal curatore e sottoposta al vaglio prima del comitato dei creditori e poi del giudice delegato, il legislatore non consente di procedere, sic et sempliciter, a trattativa privata.

Infatti, l'art. 107 legge fall., pur attribuendo al curatore ampia discrezionalità circa le modalità di vendita dei beni del fallimento, esige che la vendita avvenga previa adeguata pubblicità e tramite procedure competitive, sia che si tratti di vendita con incanto, ovvero per offerte private od in altre forme, ed esclude quindi, in ogni caso, che essa avvenga a trattativa privata diretta tra il curatore e il terzo, senza che altri soggetti abbiano avuto la possibilità di partecipare alla liquidazione con le proprie offerte (Cass. Sez.1, 20/12/2011, n.27667).

Ciò detto, e venendo alla questione prospettata nella domanda, se l'offerta è stata formulata per un importo rispetto al quale si è già svolto un tentativo di vendita senza che siano pervenute offerte di acquisto ed il programma di liquidazione non prevede il rinvio alle norme del codice di procedura civile, essa potrebbe essere accolta, previo parere del comitato dei creditori.

Si tratta tuttavia di una scelta rispetto alla quale il giudice delegato gode (a nostro avviso giustamente) di un certo margine di discrezionalità, per cui anche in presenza dell'assenso del comitato dei creditori potrebbe disporre che il bene venga nuovamente posto in vendita al medesimo prezzo indicato nell'ultimo esperimento andato deserto, ove ritenga che una nuova sollecitazione del mercato possa consentire di vendere ad un prezzo maggiore.

umberto pubblicato 15 febbraio 2019

un curatore, in asta fallimentare competitiva con rilanci, ha imposto a voce il termine perentorio di 10 giorni per eventuale offerta migliorativa. Gradivo conoscere se tale imposto termine e' perentorio e se possono eventualmente essere prese in considerazione offerte pervenute il 12^ giorno

Grazie

inexecutivis pubblicato 19 febbraio 2019

Ai sensi dell’art. 107, comma quarto, l.fall., (come riformato dall'art. 94 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dall'art. 7 del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169) “Il curatore può sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto”.

A proposito di questa norma va detto in primo luogo che essa, secondo un recente arresto della Corte di Cassazione, trova applicazione solo laddove il programma di liquidazione preveda (come nel caso prospettato nella domanda) che alla vendita dei beni debba procedersi mediante procedure competitive, ex art. 107, comma primo, l.fall., mentre laddove sia stato operato il rinvio alle norme del codice di procedura civile (art. 107, comma 2, l.fall.) questa disposizione non può operare (Cass. Sez. 1 11.4.2018, n. 9017).

Quindi, nelle vendite competitive, secondo la giurisprudenza la norma, “nello stabilire che il curatore fallimentare «può» e non «deve» sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto, gli attribuisce per ciò stesso un potere discrezionale con riguardo alla valutazione dell'effettiva convenienza della sospensione (e del conseguente, necessario, rinnovo della procedura adottata per la liquidazione dei beni), che non si basa su di un mero calcolo matematico, ma ben può sorreggersi sulla considerazione di elementi di natura non strettamente economica (quale, nella specie, l'opportunità di procedere ad una rapida chiusura della procedura fallimentare), con la conseguenza che, ove non appaia fondato su presupposti palesemente errati o su motivazioni manifestamente illogiche o arbitrarie, si sottrae al sindacato giurisdizionale. (Cass. Sez. 6 - 1, 05/03/2014, n. 5203).

Pertanto se il disciplinare di vendita (che in quanto lex specialis vincola la procedura) è previsto un termine di 10 giorni, esso rende inefficaci le offerte migliorative successive.

L'unica norma che potrebbe venire in rilievo è quella di cui all'art. 108 l.fall., la quale attribuisce al giudice delegato il potere di impedire il perfezionamento della vendita ove ricorrano gravi e giustificati motivi, ovvero se il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto.

Riteniamo in proposito che la sospensione della vendita prevista dall'art. 108 l.f., presidia nelle vendite fallimentare gli stessi interessi che in ambito di esecuzione individuale sono tutelati dall'art. 586 c.p.c., sicché soggiace ai medesimi presupposti di applicabilità, a proposito dei quali la Corte di Cassazione ha affermato che Il potere di sospendere la vendita, attribuito dall'art. 586 c.p.c. (nel testo novellato dall'art. 19 bis della legge n. 203 del 1991) al giudice dell'esecuzione dopo l'aggiudicazione perché il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto, può essere esercitato allorquando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all'aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l'esercizio del potere del giudice dell'esecuzione” (Cass. 21 settembre 2015, n. 18451).

Queste due norme non sono volte a tutelare in modo esclusivo ed assoluto i creditori della procedura esecutiva e concorsuale, ma più in generale il principio di stabilità delle vendite nelle procedure coattive, al fine di promuoverne l’affidabilità (in quanto l'affidabilità delle vendite coattive garantisce la maggiore partecipazione degli interessati), in guisa che una volta che si sia svolta una libera competizione all’esito di adeguata pubblicità e tutti gli interessati siano stati messi nelle condizioni di partecipare formulando le proprie valutazioni in ordine al prezzo da offrire per il bene in vendita, l’aggiudicazione deve risultare tendenzialmente stabile, potendo essere messa in discussione solo in ipotesi eccezionali, ipotesi che la sentenza richiamata ha tipizzato secondo i canoni appena richiamati.

Al contrario, mettere in discussione una vendita che abbia già visto individuato il miglior offerente per il solo fatto che è stata formulata una offerta migliorativa successiva, evidentemente avvolge il procedimento di liquidazione in una cortina di incertezza che disincentiva gli offerenti.

umberto pubblicato 16 giugno 2019

nella seconda decode del mese di luglio del corrente anno (ed entro il termine perentorio stabilito in 120 giorni) dovro' fare il rogito presso studio notalile all'uopo designato, a seguito dell'aggiudicazione a mio favore di un immobile in asta fallimentare competitiva. Gradivo conoscere i dettagli I.V.A. e quando questa puo' essere applicata.

Grazie

inexecutivis pubblicato 18 giugno 2019

Nel rispondere alla domanda formulata partiamo dal presupposto per cui le vendite esecutive soggiacciono alla disciplina IVA senza alcuna distinzione rispetto alle ordinarie vendite negoziali.

L’art. 1 del D.P.R. n. 633/72 prevede l'assoggettamento all'imposta sul valore aggiunto delle cessioni di beni effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese o di arti e professioni.

Il successivo art. 2 afferma che "costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali su beni di ogni genere".

Come affermato nella Risoluzione Ministeriale 193/E del 26 novembre 2001, il legislatore, fornendo la nozione di cessione di beni, "non ha fatto riferimento ad uno specifico tipo negoziale previsto dal codice civile, ma ha adottato un'ampia formula definitoria, suscettiva di ricomprendere tutti gli atti che comportano, come effetto giuridico, un trasferimento della proprietà di beni di ogni genere (ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento) a titolo oneroso".

 

Tale orientamento ha trovato conforto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, avendo affermato, con sentenza n. 7528 del 12 agosto 1997, che le vendite forzate costituiscono cessioni di beni agli effetti dell'Iva, dato che l'art. 2 non distingue "...fra la natura volontaria o coattiva del trasferimento che, nella specie, è peraltro a titolo derivativo, traducendosi nella trasmissione dello stesso diritto vantato dal debitore esecutato...".

Tanto detto, e venendo alla disciplina iva, osserviamo che a mente dell’art. 10, comma primo n. 8-ter D.P.R. 633/1972, le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed f), del Testo Unico dell'edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento, e quelle per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione.

Invece, in base all’art. 10 primo comma, n. 8-bis), del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012, le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli strumentali sono soggette al regime “naturale” di esenzione da IVA, ad eccezione delle seguenti ipotesi:

1) cessioni effettuate dalle imprese costruttrici o di ripristino degli stessi entro 5 anni dall’ultimazione della costruzione o dell’intervento;

2) cessioni poste in essere dalle stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;

3) cessioni di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali per le quali nel relativo atto il cedente, se soggetto passivo IVA, abbia manifestato espressamente l’opzione per l’imposizione.

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