Per rispondere all’interrogativo formulato occorre premettere che in base all’art. 10 primo comma, n. 8-bis), del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012 (convertito, con modificazioni, con l. 7 agosto 2012, n. 134) le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato diversi da quelli strumentali sono soggette al regime “naturale” di esenzione da IVA, ad eccezione delle seguenti ipotesi:
1) cessioni effettuate dalle imprese costruttrici (o di ripristino degli stessi immobili) entro 5 anni dall’ultimazione della costruzione o dell’intervento;
2) cessioni poste in essere dalle stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
3) cessioni di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali - come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008 - per le quali nel relativo atto il cedente abbia manifestato espressamente l’opzione per l’imposizione. In particolare, secondo l’art. 1, del citato D.M., si definisce alloggio sociale (comma 2) “l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato”. L'alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie.
Rientrano inoltre nella definizione di alloggio sociale (comma tre) “gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà”.
Per completezza, ricordiamo che secondo l’Agenzia delle Entrate (circolare 4 agosto 2006, n. 27/E ribadita, sul punto, dalla circolare 29 maggio 2013, n. 18/E), sono fabbricati abitativi quelli classificati o classificabili nel gruppo catastale “A” (esclusa la categoria “A/10”). Sono invece fabbricati strumentali per natura (vale a dire, quelli che “per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni”) le unità immobiliari classificate o classificabili nei gruppi catastali “B”, “C”, “D”, “E” e nella categoria “A10” qualora la destinazione ad ufficio o studio privato risulti dal provvedimento amministrativo autorizzatorio.
Dunque, se si tratta di un fabbricato non strumentale, l’IVA sarà applicabile solo se ricorre una delle tre ipotesi sopra individuate fermo restando che il cedente può comunque esercitare l’opzione per assoggettare ad IVA il trasferimento.
Questa opzione deve essere esercitata, ai sensi delle norme surrichiamate, all’atto della cessione, e quindi in sede di compravendita, e costituisce un diritto del cedente.
In sede fallimentare invece questo diritto viene esercitato dal curatore, per espressa previsione dell’art. 74-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
La conclusione che dunque ci sentiamo di trarre è quella per cui il curatore, essendo chiamato ad esplicitare se intende esercitare l’opzione IVA, deve ben rappresentarlo negli atti di vendita o comunque agli interessati che ne facciano richiesta.