oneri, fondo patrimoniale, perizia di stima

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  • Ultimo messaggio 12 ottobre 2019
france-2 pubblicato 03 ottobre 2019

 Buongiorno,complimenti e grazie per l'opportunità estremamente utile che concedete.

Sono interessato a partecipare ad una asta giudiziaria relativa ad un appartamento. Dalla documentazione scaricata dal sito delle aste giudiziarie sembrano emergere alcune criticità, le cui implicazioni non mi sono del tutto chiare. Eccole: 

1)      Oneri che gravano sull’aggiudicatario 

Nell’ordinanza è riportato quanto segue: (il giudice) dispone che per tutti gli oneri economici, ad eccezione di quelli del PVP, gli stessi siano svincolati dal conto della procedura. Ciò significa che tutti gli oneri economici, ad eccezione di quelli del PVP, sono da imputare all’aggiudicatario? Se ho capito gli oneri a carico dell’aggiudicatario sono: imposta di registro (9% per acquisto seconda casa), imposta catastale (50 euro), imposta ipotecaria (50 euro), compensi spettanti al delegato incaricato (825 euro, pari al 50% dell’importo relativo alla fase di trasferimento della proprietà e nel caso il prezzo di aggiudicazione sia compreso tra 100 e 500 mila euro) e contributi previdenziali (4%) ed iva. Ve ne sono altre? E a quanto potrebbero ammontare (il prezzo di aggiudicazione potenziale dovrebbe essere 250 mila euro). In altre parti dell’ordinanza viene detto “Egli è del pari tenuto ad anticipare gli importi delle imposte di cancellazione delle formalità pregiudizievoli”. Cosa vuol dire “anticipare” gli importi delle imposte di cancellazione delle formalità pregiudizievoli? è previsto che l’aggiudicatario “rientri” degli importi anticipati per tali fini? Nel caso specifico sull’immobile all’asta gravano 2 ipoteche volontarie (derivanti una da mutuo e l’altra da concessione a garanzia cambiali), 1 ipoteca giudiziale derivante da sentenza di condanna, e la costituzione di un fondo patrimoniale. 

2)      Fondo patrimoniale. È indicata una formalità pregiudizievole: un “fondo patrimoniale trascritto a …..”. Non mi è chiaro cosa comporti ciò nel caso fossi l’aggiudicatario dell’immobile. Considerato che il fondo patrimoniale è finalizzato ad evitare che i creditori possano aggredire i beni in esso inclusi, e tenuto conto che il giudice dell’esecuzione ha ritenuto comunque di procedere alla vendita forzata dell’immobile, quali rischi/limitazioni nella disponibilità del bene potrebbero derivare qualora mi aggiudicassi l’appartamento? Potrei, per esempio, procedere alla vendita del bene senza difficoltà? 

3)      Perizia di stima La perizia di stima evidenzia che l’immobile (sebbene possegga certificato di agibilità rilasciato negli anni 60) presenta alcune difformità (diversa distribuzione ambienti interni, balcone non previsto, ecc.)  di cui alcune non sanabili (balcone non previsto in progetto). Ritengo che la perizia nella parte relativa alla impossibilità di sanare le difformità dovuta al balcone sia errata, poiché il balcone non costituisce difformità (altri appartamenti  nello stesso condominio  dispongono di balcone uguale a quello ritenuto dal perito opera difforme dal progetto; probabilmente il perito ha comparato lo stato di fatto con un progetto successivamente modificato). Qualora mi aggiudicassi l’immobile, posso procedere - evidenziando la regolarità del balcone - alla sola modifica delle distribuzioni interne? O la perizia implica ulteriori adempimenti edilizi obbligatori?

Grazie.

Un cordiale saluto

 

 

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inexecutivis pubblicato 05 ottobre 2019

Cerchiamo di rispondere a ciascuna delle molteplici domande formulate.

1)      Oneri che gravano sull’aggiudicatario 

Nell’ordinanza è riportato quanto segue: (il giudice) dispone che per tutti gli oneri economici, ad eccezione di quelli del PVP, gli stessi siano svincolati dal conto della procedura. Ciò significa che tutti gli oneri economici, ad eccezione di quelli del PVP, sono da imputare all’aggiudicatario?

NO, VUOL DIRE SEMPLICEMENTE CHE IL PROFESSIONISTA DELEGATO PUO’ PRELEVARLI DAL CONTO DELLA PROCEDURA SENZA CHIEDERE DI VOLTA IN VOLTA L’AUTORIZZAZIONE DEL GIUDICE DELL’ESEUZIONE.

Se ho capito gli oneri a carico dell’aggiudicatario sono: imposta di registro (9% per acquisto seconda casa), imposta catastale (50 euro), imposta ipotecaria (50 euro), compensi spettanti al delegato incaricato (825 euro, pari al 50% dell’importo relativo alla fase di trasferimento della proprietà e nel caso il prezzo di aggiudicazione sia compreso tra 100 e 500 mila euro) e contributi previdenziali (4%) ed iva.

ESATTO, QUESTI SONO GLI IMPORTI, A MENO CHE IL TRASFERIMENTO NON SIA SOGGETTO AD IVA, NEL QUAL CASO, INVECE DELL’IMPOSTA DI REGISTRO (CHE SI PAGHERA’ PER UN IMPORTO FISSO DI €. 200) SI APPLICHERA’ UN’ALIQUOA IVA CHE A SECONDA DELLE IPOTESI, L’ALIQUOTA SARA’ DEL 10 O DEL 22%. IN PARTICOLARE, L’ALIQUOTA DEL 10% SI APPLICA PER I FABBRICATI "Tupini" tali essendo quelli identificati dall’art. 13 della L. n. 408/1949, nonché dal combinato disposto dall’articolo 1 della L. n.1493/1962 e dall’articolo unico della L. n. 1212/1967.

L’art. 13 li definisce come le “(…) case di abitazione, anche se comprendono uffici e negozi, che non abbiano il carattere di abitazione di lusso (…)”, mentre l'art. 1 della l. n. 1493/1962 stabilisce che “(…) le agevolazioni fiscali previste per le case di abitazione non di lusso dalle leggi 2 luglio 1949, n. 408, (…) sono applicabili anche ai locali destinati ad uffici e negozi, quando, a questi ultimi, sia destinata una superficie non eccedente il quarto di quella totale nei piani sopra terra (…)”.

Queste norme sono state oggetto di interpretazione autentica da parte della l. n. 1212/1967, la quale ha esplicitato che è necessario e sufficiente che ricorrano, congiuntamente, due condizioni:

a) almeno il 50% più uno della superficie totale dei piani sopra terra sia destinata ad abitazioni;

b) non più del 25% della superficie totale dei piani sopra terra sia destinato a negozi.

Ve ne sono altre?

NON SAVO QUANTO DIERMO A PROPOSITO DELLA CANCELLAZIONE DELLE FORMALITà PREGIUDIZIEVOLI

E a quanto potrebbero ammontare (il prezzo di aggiudicazione potenziale dovrebbe essere 250 mila euro).

BASTA FARE UN MERO CALCOLO ARITMETICO

In altre parti dell’ordinanza viene detto “Egli è del pari tenuto ad anticipare gli importi delle imposte di cancellazione delle formalità pregiudizievoli”. Cosa vuol dire “anticipare” gli importi delle imposte di cancellazione delle formalità pregiudizievoli? è previsto che l’aggiudicatario “rientri” degli importi anticipati per tali fini? Nel caso specifico sull’immobile all’asta gravano 2 ipoteche volontarie (derivanti una da mutuo e l’altra da concessione a garanzia cambiali), 1 ipoteca giudiziale derivante da sentenza di condanna, e la costituzione di un fondo patrimoniale.

A proposito dei costi di cancellazione delle ipoteche osserviamo quanto segue.

In primo luogo va operata una distinzione:

- la cancellazione delle ipoteche volontarie è esente dall'imposta ipotecaria e dall'imposta di bollo, ai sensi dell'art. 15 d.P.R.  n. 29.9.1973, n.601, se l'ipoteca è stata iscritta a garanzia di un finanziamento a medio e lungo termine erogato da un istituto di credito, (per cui sconta solo la tassa ipotecaria di €. 35,00);

- a proposito delle altre ipoteche, la cancellazione è soggetta, oltre alla tassa ipotecaria (€. 35,00) ed all’imposta di bollo (€. 59,00), all’imposta ipotecaria nella misura dello 0,50% (ai sensi degli artt.12, 13 della tariffa del d.lgs 31.10.1990, n. 347), con un minimo di €. 200,00 (art. 18 d.lgs 31.10.1990, n. 347).

Cambia tuttavia a nostro avviso la base imponibile:

- se l'immobile sul quale si cancella l'ipoteca non è l'unico bene sul quale quella ipoteca è stata iscritta, si tratterà di una restrizione, e dunque in questo caso la base imponibile sarà costituita dalla minor somma tra l'importo del credito ed il prezzo dell'aggiudicazione, ai sensi dell'art. 3, comma 3, d.P.R. 347/1990, il quale dispone che "L'imposta dovuta sull'annotazione per restrizione di ipoteca è commisurata al minor valore tra quello del credito garantito e quello degli immobili o parti di immobili liberati determinato secondo le disposizioni relative all'imposta di registro";

- se invece l'immobile sul quale cancellare l'ipoteca è l'unico, la base imponibile sarà calcolata sull'importo del credito, poiché si tratterà di una cancellazione totale.

Osserviamo tuttavia che in senso diverso (e più favorevole all’aggiudicatario) si è espressa, con riferimento a quest’ultimo caso, l’agenzia delle Entrate con la circolare del 4.3.2015, n. 8.

In particolare, l’Agenzia delle entrate è stata chiamata a pronunciarsi sul trattamento tributario delle domande di annotazione nei registri immobiliari, presentate a seguito dell'ordine di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie, emesso dal giudice in sede di trasferimento del bene espropriato nel caso in cui il bene trasferito sia l'unico bene oggetto dell'ipoteca.

In particolare, si chiedeva all’Agenzia delle Entrate se in tale ipotesi, l'imposta ipotecaria da applicare per l'annotazione nei registri immobiliari dovesse essere commisurata all'ammontare del credito garantito, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 (TUIC), ovvero al minor valore tra quello del credito garantito e quello dell'immobile liberato, determinato secondo le disposizioni relative all'imposta di registro, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo.

Nel rispondere al quesito l’Agenzia, muovendo dal presupposto per cui l’ordine di cancellazione emesso dal Giudice dell'esecuzione in seno al decreto di trasferimento e riferito al bene ovvero ai beni espropriati si atteggia perlomeno sotto un profilo formale - quale ordine di liberazione di tali beni dalle formalità pregiudizievoli gravanti, secondo lo schema della c.d. "cancellazione parziale", sicché è proprio la struttura intrinseca della peculiare forma di liberazione dalle ipoteche (o dal pignoramento) costituita dall'emissione del decreto di trasferimento, che qualifica la conseguente annotazione come "restrizione di beni".

La conseguenza di questo ragionamento sul piano tributario è che ai fini dell’imposta ipotecaria dovuta per la cancellazione dell’ipoteca occorra fare riferimento all'articolo 3, comma 3, del TUIC, il quale prevede che l'imposta ipotecaria dovuta sull'annotazione per restrizione di ipoteca è commisurata al minor valore tra quello del credito garantito e quello degli immobili o parti di immobili liberati, per la determinazione del quale la norma fa espresso rinvio alle disposizioni relative all'imposta di registro, e dunque all’art. 44 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), ai sensi del quale "Per la vendita di beni mobili e immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto la base imponibile è costituita dal prezzo di aggiudicazione".

Infine, l’Agenzia ha precisato che ai fini della determinazione della base imponibile non trova applicazione la disciplina del “prezzo valore” di cui all’art. 1, comma 497, della l. 23 dicembre 2005, n. 266.

Invece, i costi di cancellazione del pignoramento sono:

€.200 per l’imposta ipotecaria (art. 14 della tariffa allegata al d.lgs. 31.10.1990, n. 347);

€. 59 per l’imposta di bollo (art. 3, punto 2 bis della tariffa allegata la d.P.R. 642/1972);

€. 35 per la tassa ipotecaria (ai sensi della tabella allegata al d.lgs 31.10.1990, n. 347).

 

2)      Fondo patrimoniale. È indicata una formalità pregiudizievole: un “fondo patrimoniale trascritto a …..”. Non mi è chiaro cosa comporti ciò nel caso fossi l’aggiudicatario dell’immobile. Considerato che il fondo patrimoniale è finalizzato ad evitare che i creditori possano aggredire i beni in esso inclusi, e tenuto conto che il giudice dell’esecuzione ha ritenuto comunque di procedere alla vendita forzata dell’immobile, quali rischi/limitazioni nella disponibilità del bene potrebbero derivare qualora mi aggiudicassi l’appartamento? Potrei, per esempio, procedere alla vendita del bene senza difficoltà?

Ai sensi dell’art. 167 c.c., con il fondo patrimoniale entrambi i coniugi, uno di essi o un terzo vincolano determinati beni immobili, mobili registrati o titoli di credito al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione della famiglia. Esso ove abbia ad oggetto beni immobili, deve essere annotato a margine dell’atto di matrimonio e trascrivere presso i registri immobiliari.

L’art. 170 c.c. dispone che l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. I beni del fondo possono essere aggrediti quindi solo a seguito dell’inadempimento di obbligazioni assunte da uno o da entrambi i coniugi per i bisogni della famiglia. Sarà possibile esecutivamente sui beni del fondo anche per le obbligazioni contratte da uno o da entrambi i coniugi per i bisogni estranei alle esigenze della famiglia, solo se i creditori ignoravano tale estraneità.

Va ancora detto che ai fini della opponibilità del fondo patrimoniale è rilevante l’annotazione della sua costituzione nei registri di stato civile e non la trascrizione (così si è espressa Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24789, secondo la quale “La costituzione del fondo patrimoniale va compresa tra le convenzioni matrimoniali ed è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c., circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del comma 3, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo, ai sensi dell’art. 2647 c.c., resta degradata a mera pubblicità notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo”).

Sulla scorta di questi elementi, ricaviamo il dato per cui l'esistenza di un fondo patrimoniale non esclude in assoluto la pignorabilità dei beni, con la conseguenza che se nel caso prospettato si è proceduti comunque alla vendita, questo significa che si tratta di una esecuzione che deriva dall’inadempimento di obbligazioni assunte da uno o da entrambi i coniugi per i bisogni della famiglia oppure di una obbligazione contratta da uno o da entrambi i coniugi per i bisogni estranei alle esigenze della famiglia, la cui estraneità era però ignorata dai creditori.

Precisiamo ancora che il fondo patrimoniale non rientra tra le formalità di cui il Giudice dell’esecuzione ordina la cancellazione ai sensi dell’art. 586 c.p.c.

Peraltro, in linea di principio, la cancellazione non è neanche necessaria in quanto, da un lato, ai fini dell’opponibilità ai terzi è rilevante l’annotazione nei registri di stato civile e non la trascrizione (così si è espressa Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24789, secondo la quale “La costituzione del fondo patrimoniale va compresa tra le convenzioni matrimoniali ed è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c., circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del comma 3, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo, ai sensi dell’art. 2647 c.c., resta degradata a mera pubblicità notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo”.

Dall’altro, poiché il vincolo creato dal fondo patrimoniale si risolve nella impignorabilità del bene, una volta che la procedura esecutiva si è conclusa con la vendita del bene non possono esservi pregiudizi per i diritti dell’acquirente.

Ciononostante è chiaro che la presenza del vincolo può generare incertezze (per quanto infondate), e dunque rendere meno fluida la circolazione del bene, sicché alcuni tribunali ne ordinano comunque la cancellazione (eventualmente previa comunicazione del decreto di trasferimento a coloro che potrebbero avere interesse al mantenimento della formalità, in modo da provocarne l’eventuale opposizione), anche se la Corte di Cassazione ha affermato che il decreto di trasferimento non può contenere l’ordine di cancellare trascrizioni diverse dal pignoramento e dalle ipoteche senza il consenso delle parti interessate (Cass., 9 novembre 1978, n. 5121; 10 settembre 2003, n. 13212).

 

3)      Perizia di stima La perizia di stima evidenzia che l’immobile (sebbene possegga certificato di agibilità rilasciato negli anni 60) presenta alcune difformità (diversa distribuzione ambienti interni, balcone non previsto, ecc.)  di cui alcune non sanabili (balcone non previsto in progetto). Ritengo che la perizia nella parte relativa alla impossibilità di sanare le difformità dovuta al balcone sia errata, poiché il balcone non costituisce difformità (altri appartamenti  nello stesso condominio  dispongono di balcone uguale a quello ritenuto dal perito opera difforme dal progetto; probabilmente il perito ha comparato lo stato di fatto con un progetto successivamente modificato). Qualora mi aggiudicassi l’immobile, posso procedere - evidenziando la regolarità del balcone - alla sola modifica delle distribuzioni interne? O la perizia implica ulteriori adempimenti edilizi obbligatori?

La risposta alle sue domande, a nostro avviso, deve prendere le mosse dalla lettura dell’art. 46, comma primo, dpr 380/2001 (meglio noto come Testo Unico dell’edilizia), a mente del quale “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”.

La norma, com’è noto, sancisce la nullità degli atti di compravendita aventi ad oggetto immobili abusivi.

Il successivo comma quinto della medesima disposizione tempera la portata applicativa di questa disposizione con riferimento ai trasferimenti di proprietà che avvengano nell’ambito di procedure esecutive, disponendo che “Le nullità di cui al presente articolo [cioè le nullità degli atti di trasferimento degli immobili abusivi] non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. Tuttavia, prosegue la norma “L'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria.

france-2 pubblicato 05 ottobre 2019

 

La ringrazio molto per l’esaustiva risposta.

 

Avrei solo alcune incertezze in relazione alle difformità edilizie rilevate dal perito.

 

Il perito rileva che - nonostante la sussistenza del certificato di agibilità -  a seguito di confronto tra lo stato di fatto e il progetto del fabbricato (risalente al 1963) di cui l’appartamento in vendita costituisce una unità immobiliare,  sono emerse alcune difformità. Alcune di queste (diversa distribuzione degli spazi interni, presenza di un balcone nella chiostrina interna del palazzo non previsto in progetto) ritiene siano sanabili mediante la presentazione di una SCIA in sanatoria. Per un'altra difformità, un ampliamento consistente nella trasformazione di una veranda in volume interno di circa 50 mc (quindi con avanzamento della facciata rispetto alla situazione di progetto) è detto che “non c’è possibilità di sanatoria con le cosiddette “sanatorie ordinarie”. Permane dunque come unica via per restituire legittimità all’immobile la rimessa in pristino dello stesso, in conformità al progetto approvato, previa demolizione dei volumi abusivi.”

 

Preciso che tutti gli appartamenti del palazzo presentano la medesima difformità ritenuta dal perito non sanabile. La situazione attuale di difformità (comune dunque a tutti gli appartamenti dell’edifico) è probabile derivi dalla mancata presentazione da parte del costruttore di un progetto in variante a quello originariamente approvato. Preciso che l’intero edificio è stato realizzato a Roma tra il 1963 e il 1966 e dispone di certificato di abitabilità (datato gennaio 1966). Segnalo inoltre che le planimetrie catastali (in cui sono già presenti le opere ritenute dal perito difformi dal progetto) sono datate febbraio 1966.

 

Con riferimento alla difformità non sanabile, le conclusioni a cui sono giunto -  e per le quali chiedo cortesemente il suo parere -  sono le seguenti:

 

NON posso procedere alla sanatoria secondo la L47/85: “nella ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge”. Nel caso mi pare ricorrano tutte le condizioni previste dall’art. 40 della L 47/85 (credo che l ‘incremento di volume di circa 50 mc sia sanabile, considerato anche che l’immobile è stato realizzato prima del 1967) ad eccezione di quella relativa alle ragioni di credito (che sicuramente non sono antecedenti al 1985).

Dovrei dunque demolire il volume in difformità?  

 

È questo un obbligo imposto dall’atto di trasferimento??

 

Potrei non procedere alla demolizione? 

Essendo l’immobile realizzato prima del 1967 in eventuali atti di vendita futuri dovrebbe essere sufficiente la dichiarazione resa dal venditore che l’immobile è stato realizzato prima del 1967. 

 

Tuttavia, in un passo dell’ordinanza del giudice si dice che nel decreto di trasferimento va fatta “espressa menzione della situazione urbanistica dell’immobile”. Potrebbe questo avere implicazioni in eventuali futuri atti di vendita? In altri termini la espressa menzione della situazione urbanistica (difformità non sanabile) impedirebbe di procedere ad una futura vendita sulla base della dichiarazione del venditore attestante che l’immobile è stato realizzato prima del 1967? 

 

Nello scusarmi per le numerose domande, ringrazio e saluto cordialmente.

 

inexecutivis pubblicato 09 ottobre 2019

Condividiamo l'idea del perito circa la non sanabilità dell'abuso da egli dichiarato tale.

In questo caso non resta che eliminare la difformità, che tuttavia non deirva dal decreto di trasferimento, che nulla aggiunge sul punto.

Non si pongono invece problemi relativi alla successiva vendita.

infatti, secondo il disposto dell’art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47, gli immobili costruiti in epoca anteriore al 2 settembre 1967 sono liberamente commerciabili, qualunque sia l’abuso edilizio commesso dall’alienante, a condizione che, nell’atto pubblico di trasferimento, risulti inserita una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o da altro avente titolo, attestante l’inizio dell’opera in data anteriore al 2 settembre 1967, senza che rilevi, pertanto, ai fini della legittimità del trasferimento, la mancanza dell’attestazione di conformità della costruzione alla licenza edilizia ovvero la esistenza di una concessione in sanatoria (ovvero la domanda, ad essa relativa, corredata della prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione) (Cass. civ., sez. II, 22 agosto 1998, n. 8339).

france-2 pubblicato 09 ottobre 2019

La ringrazio molto.

cordiali saluti.

 

inexecutivis pubblicato 12 ottobre 2019

grazie a lei

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