Rispondiamo alla domanda affermando che ad oggi non esistono norme che prevedano l’estinzione della procedura esecutiva immobiliare all’esito dell’infruttuoso esperimento del quarto tentativo di vendita.
Una previsione di questo tipo è contenuta, con esclusivo riferimento alle vendite mobiliari nell’art. 532, comma secondo, c.p.c., come riscritto dall’art. 4 co. 1, lett. c) del d.l. n. 59 del 3 magio 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge30 giugno 2016, n. 119, in forza del quale l’esito infruttuoso dei tre tentativi di vendita (che devono svolgersi nel termine fissato dal Giudice, non superiore a sei mesi,) determina l’estinzione della procedura, ove il creditore non richieda l’integrazione del pignoramento.
L’unica norma che può incidere sulla chiusura anticipata della procedura esecutiva è l’art. 164 bis disp. att. c.p.c., (introdotto dall’art. 19, comma 2, lett. b) del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con l. 10 novembre 2014, n. 162), il quale dispone che “Quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”.
In sostanza, con questa previsione il legislatore ha ritenuto che quando il prezzo base, a seguito dei ribassi operati a causa del mancato buon esito dei precedenti tentativi di vendita è tale per cui non è più possibile prevedere un “ragionevole soddisfacimento” delle pretese dei creditori (valutazione da compiersi tenendo conto dei costi necessari per l’ulteriore corso della procedura, delle probabilità che il bene sia venduto e del presumibile valore di realizzo), la procedura esecutiva non ha più ragione di proseguire.
Come si vede, tuttavia, si tratta di una previsione del tutto sganciata (a nostro avviso condivisibilmente) dal numero di tentativi di vendita già compiuti. Ciò in quanto anche dopo numerosi esperimenti il bene potrebbe avere un valore residuo capace di garantire un ragionevole soddisfacimento del credito del creditore.
A proposti dell’ordine di liberazione va premesso che ai sensi dell’art. 560, comma terzo, c.p.c., a mente del quale “Il giudice dell'esecuzione dispone, con provvedimento impugnabile per opposizione ai sensi dell’art. 617, la liberazione dell'immobile pignorato senza oneri per l’aggiudicatario o l’assegnatario o l’acquirente, quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, ovvero quando revoca l’autorizzazione, se concessa in precedenza, ovvero quando provvede all'aggiudicazione o all'assegnazione dell'immobile… Per il terzo che vanta la titolarità di un diritto di godimento di un bene opponibile alla procedura il termine per l’opposizione decorre dal giorno in cui si è perfezionata nei confronti del terzo la notificazione del provvedimento”.
Da questa norma si ricava che il Giudice ordina la liberazione dell'immobile quando:
- non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare l'immobile;
- procede all'aggiudicazione.
Come si vede, la norma non impone l’adozione dell’ordine di liberazione in un momento antecedente all’aggiudicazione, ma è innegabile che l’anticipazione del provvedimento rispetto al momento ultimo in cui esso deve essere adottato è fortemente auspicabile.
Invero, liberazione dell’immobile prima dell’aggiudicazione ne facilita la vendita ad un giusto prezzo, posto che lo stato di occupazione da parte del debitore esecutato o da parte di terzi senza titolo, per quanto giuridicamente non opponibile, determina nei potenziali acquirenti incertezza in ordine ai tempi di effettiva consegna nel caso di aggiudicazione e quindi disincentiva la loro partecipazione alla vendita.
Nel modificare l'art. 560 c.p.c., il legislatore del 2005/2006 ha imposto al giudice dell'esecuzione una valutazione di portata più ampia rispetto a quella necessaria in precedenza per il rilascio dell'autorizzazione. Mentre quest'ultima riguardava essenzialmente la situazione abitativa del debitore e della sua famiglia, a seguito della modifica normativa il giudice dell'esecuzione deve valutare, in via prioritaria, se liberare l'immobile, a meno che non ritenga di autorizzare il debitore a permanervi (e fatta salva comunque l'obbligatorietà dell'ordine di liberazione al momento dell'aggiudicazione).
Siffatta valutazione presuppone l'esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice dell'esecuzione, che è espressione dei suoi compiti di gestione del processo ed è funzionale alla realizzazione dello scopo del processo, che è quello della soddisfazione dei crediti del procedente e degli intervenuti mediante la vendita del bene pignorato.
L'esercizio di tale potere comporta il contemperamento dell'interesse del debitore a continuare ad abitare l'immobile con le ulteriori esigenze del processo, onde garantire l'effettività dell'azione giurisdizionale esecutiva, perseguita dall'innovazione legislativa dell'ordine di liberazione obbligatorio.
Alla luce di queste considerazioni, se il Giudice dell’esecuzione non ha ritenuto di adottare l’ordine di liberazione prima dell’aggiudicazione, l’unico strumento utilizzabile è quello di sollecitarlo in tal senso.