Errata Pubblicità

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  • Ultimo messaggio 05 dicembre 2019
giuseppa pubblicato 27 novembre 2019

Buongiorno,

Ho partecipato a un’asta (unica offerente) per un piccolo locale con prezzo base €. 12.800 e offerta minima €. 9.000. Ho fatto un’offerta al prezzo minimo depositando un assegno di €. 900 a titolo di cauzione.

Il giorno dell’asta l’immobile non mi è aggiudicato in quanto, secondo il Delegato, nell’avviso di vendita pubblicato sul Portale Vendite Pubbliche,  era indicato quale prezzo minimo €. 9.600 (mentre sulla pubblicità riportata su Aste Giudiziarie il prezzo era di €. 9.000).

 Dichiaro, comunque, la mia disponibilità a fare un’offerta a 9.600 impegnandomi a depositare subito l’ulteriore somma di €. 60 ma non ha voluto sentito ragioni.

A suo avviso è valido solo quanto pubblicato sul Portale Vendite Pubbliche e non su Aste Giudiziarie. Non riconsegna l’assegno depositato e fissa il termine di una settimana per conferire con il Giudice per avere istruzioni.

Poiché (da un controllo effettuato successivamente) anche su Aste Telematiche viene riportato quale prezzo minimo la somma di €. 9.000 mi chiedo:

Possibile che prevalga il portale Vendite Pubbliche sugli altri due? C’è una legge o un regolamento che lo stabilisce?

Non dovrebbe essere tutelato l’offerente che, correttamente, ha fatto l’offerta seguendo le indicazioni stabilite nell’avviso di vendita?

Che cosa posso fare per far dichiarare la validità dell’offerta?

 

 

 

 

 

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inexecutivis pubblicato 30 novembre 2019

L’insufficiente o irregolare pubblicità costituisce, secondo dottrina e giurisprudenza unanime, motivo di opposizione agli atti esecutivi idoneo ad incidere anche sull’atto di aggiudicazione, con evidenti effetti anche per l’acquirente, e deve essere fatta valere mediante lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., a pena di inammissibilità, nel termine di decadenza che decorre dall’atto di aggiudicazione. Infatti, trattandosi di nullità che riguarda gli atti della vendita e non gli atti che “hanno preceduto la vendita”, non opera in favore dell’aggiudicatario la previsione di cui all’art. 2929 c.c.

Il principio costituisce ormai una costante nella giurisprudenza della Cassazione. In questi termini si sono pronunciate, ad esempio, Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005 n. 8006; Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 1995 n. 12653. Andando a ritroso nel tempo si risale a Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1962, n. 3340, secondo cui “Il precetto, risultante dagli artt. 490 e 534 cod. proc. civ., secondo il quale il provvedimento che ordina la vendita mobiliare all’incanto dev’essere pubblicato mediante avviso contenente tutti i dati che possono interessare il pubblico, da affiggersi nell’albo pretorio per tre giorni consecutivi, dev’essere osservato a pena di nullità della vendita stessa anche quando il giudice dell’esecuzione, con ordinanza successiva, abbia modificato la precedente in elementi essenziali quali la fissazione del luogo e dell’ora degli incanti. In tal caso la pubblicità va estesa al nuovo provvedimento e la nullità derivante dalla omissione può essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi entro il breve termine di cinque giorni stabilito dall’art 617 cod. proc. civ., decorrente dalla vendita, con l’effetto di rendere inoperante la preclusione posta dall’art 2929 cod. civ.”.

La nullità della vendita per omissione degli adempimenti pubblicitari prescritti vale sia per l’omessa pubblicità obbligatoria, sia per l’omessa pubblicità integrativa disposta dal Giudice dell’esecuzione con l’ordinanza di vendita (così si espressa, anche recentemente, Cass. Civ., Sez. VI – III, 7 maggio 2015, n. 9255, secondo la quale “in tema d'espropriazione forzata, le condizioni di vendita fissate dal giudice dell'esecuzione, anche in relazione ad eventuali modalità di pubblicità ulteriori rispetto a quelle minime di cui all'art. 490 c.p.c., devono essere rigorosamente rispettate a garanzia dell'uguaglianza e parità di condizioni tra tutti i potenziali partecipanti alla gara, nonché dell'affidamento da ciascuno di loro riposto nella trasparenza e complessiva legalità della procedura, per cui la loro violazione comporta l'illegittimità dell'aggiudicazione, che può essere fatta valere da tutti gli interessati e, cioè, da tutti i soggetti del processo esecutivo, compreso il debitore").

Nel caso prospettato nella domanda, poiché i diversi adempimenti pubblicitari eseguiti creano una situazione di oggettiva incertezza, poiché l’offerta minima viene diversamente indicata nelle varie pubblicazioni eseguite, a nostro avviso non è possibile procedere ad aggiudicazione.

Peraltro, nel suo caso l’offerta minima presentabile in base all’art. 569 c.p.c. era di 9.600 (prezzo base meno ¼) e non 9.000,00 per cui la sua offerta sarebbe anche inefficace ex art. 571 c.p.c.

Giuseppa.P pubblicato 01 dicembre 2019

La pubblicità non era insufficiente o irregolare. Era (in alcuni siti) errata. Ho fatto affidamento su quanto riportato, ovvero "offerta minima €. 9.000" e ho depositato, correttamente, un assegno pari al 10%.

Preciso che anche nell'ordinanza di vendita era riportato l'importo di €. 9.000.

L'errore fatto da altri non può ripercuotersi sull'offerente e, di conseguenza, sui creditori che vedranno lievitare, inutilmente, le spese di procedura.

A mio avviso, anche solo per  una questione di economicità, il Giudice, dovrebbe dichiarare l'aggiudicazione.

inexecutivis pubblicato 05 dicembre 2019

il fatto che in alcuni siti fosse indicato un prezzo differente che in altri testimonia proprio il fatto che era irregolare (o errata, se si vuole). E' vero che l'errore fatto da altri non può ripercuotersi sull'offerente, ma è altrettanto vero che l'offerente non può giovarsi dell'errore da altri fatto aggiudicandosi il bene ad un prezzo inferiore a quello minimo previsto dall'art. 571 cpc.

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