difformità non sanabile che nella prima perizia era dichiarata come sanabile

  • 117 Viste
  • Ultimo messaggio 12 ottobre 2019
valesca87 pubblicato 09 ottobre 2019

Salve

ho comprato una casa in un palazzo con altri appartamenti tramite asta e ho saldato e ottenuto il decreto di trasferimento nel maggio 2018.

nella perizia allegata all'ordinanza c'era scritto che c''erano delle difformità tra stato di diritto e stato di fatto sanabili con oblazione entro 120gg.(licenza per costruire depositi ma poi in realtà erano adibite ad abitazioni anche affittate dal fallito e dal tribunale, accatastate come abitazioni e vendute dal tribunale come abitazione di tipo civile A2)

Nel frattempo il fallito ha fatto un esposto sulle successive asta sostenendo che queste difformità non erano sanabili e che il tribunale non poteva venderle. Il giudice ha disposto una nuova perizia che ha accertato l'errore nella  prima perizia riguardo alla sanabilità delle difformità ma non ha annullato la vendita.

Ora visto l'errore nella prima perizia è possibile richiedere al tribunale un rimborso parziale ( o l'annullamento con risarcimento danni) quotando l'immobile al metro quadrato come deposito e non come abitazione... o altro?

 

inexecutivis pubblicato 12 ottobre 2019

La vendita in sede esecutiva di un immobile abusivo non sanabile costituisce, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, una ipotesi di aliud pro alio, la quale legittima l'acquirente all'esercizio del rimedio risolutorio, ai sensi dell'art. 1489 c.c.

Problematica, invece è la individuazione delle modalità processuali attraverso le quali i rimedi di diritto sostanziale possono essere fatti valere, poiché sull'argomento si contendono il campo due tesi.

La prima ritiene l’aggiudicatario un acquirente tout court, e dunque, titolare degli stessi rimedi processuali generalmente riconosciuti in caso di vendita di aliud pro alio; la seconda invece argomenta nel senso che, poiché la vendita si inserisce nell’ambito di un iter processuale con regole sue proprie, ad essa soggiace, con la conseguenza che l’aliud pro alio deve essere fatto valere nei limiti dell’opposizione agli atti esecutivi.

Sul punto, in seno alla sezione terza della Corte di Cassazione si sono registrati entrambi gli orientamenti.

Invero, nella sentenza n. 4378 del 20 marzo 2012 (Pres. Filadoro, Est. Barreca), si è affermato, in continuità con precedenti arresti della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. III, 13 maggio 2003, n. 7294; Sez. II, 3 ottobre 1991, n. 10320) che mentre i soggetti del processo esecutivo, diversi dall’aggiudicatario, possono fare valere la diversità del bene venduto rispetto a quello staggìto soltanto con una (tempestiva) opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento di aggiudicazione e gli atti successivi e conseguenti, l’acquirente aggiudicatario ha a disposizione gli stessi strumenti di tutela azionabili in caso di vendita volontaria.

In consapevole contrasto con questa pronuncia si è invece posta la sentenza n. 7708 del 2 aprile 2014, (Pres. Russo, Est. De Stefano), secondo cui l’aggiudicatario di un bene pignorato ha l’onere di far valere l’ipotesi di aliud pro alio (che si configura ove la cosa appartenga a un genere del tutto diverso da quello indicato nell’ordinanza, ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale, oppure risulti del tutto compromessa la destinazione della cosa all’uso che, preso in considerazione nell’ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l’offerta di acquisto) con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi e quest’ultima deve essere esperita comunque - nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione - entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria.

Quest’ultimo indirizzo è stato poi confermato, seppur meglio precisato, dalla sentenza 29 gennaio 2016, n. 1669, e dalla Ordinanza n. 11729 del 11/05/2017, le quali hanno affermato che il termine di cui all’art. 617 c.p.c. “decorre dalla conoscenza del vizio o delle difformità integranti la diversità del bene aggiudicato rispetto a quello offerto, occorrendo, conseguentemente, anche fornire la prova della tempestività della relativa opposizione all’interno del processo esecutivo”.

Close