DECESSO DEBITORE ESECUTATO

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professionista delegato pubblicato 27 ottobre 2016

Salve , avrei da proporre il seguente quesito.

Se dopo il pignoramento immobiliare  nei confronti di 5  debitori  quali  terzi datori di ipoteca,   ma prima della fissazione della vendita , il professionista delegato   apprende il decesso di uno   di questi,  cosa succede alla procedura esecutiva?  e come deve procedere il p.d.?

Cordialità

P.D.

 

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inexecutivis pubblicato 28 ottobre 2016

Rispondiamo alla sua domanda muovendo dalla premessa che secondo il condivisibile (a nostro giudizio) orientamento della Cassazione, il decesso del debitore esecutato non determina l’interruzione del processo esecutivo (al pari di quanto avviene per il processo di cognizione in forza dell’art. 299 c.p.c.) e dunque la procedura segue comunque il suo corso (Cass. 13.6.1994, n. 5721), con l’unica avvertenza che le comunicazioni e le notificazioni previste nei confronti del debitore dovranno eseguirsi nei confronti degli eredi.

In dottrina si è posto il problema se, deceduto il debitore nelle more della procedura esecutiva, il decreto di trasferimento debba emettersi e trascriversi contro il de cuius o contro gli eredi.

La soluzione che riscontra i maggiori consensi è che il decreto vada comunque emesso e trascritto contro il defunto, indipendentemente dalla trascrizione dell’accettazione dell’eredità ai sensi dell’art. 2648 c.c..

Diverse sono le ragioni che militano a suffragio di questa conclusione.

In primo luogo, se ai sensi dell’art. 2913 c.c., “non hanno effetto in pregiudizio al creditore pignorante e ai creditori intervenuti gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento”, il decreto di trasferimento va trascritto contro il de cuius allo stesso modo in cui andrebbe trascritto contro il debitore alienante che, dopo il pignoramento, trasferisca a terzi il bene.

In secondo luogo, la vendita forzata non può diventare la sede in cui, sebbene incidentalmente, si affrontano le questioni relative alla devoluzione del cespite pignorato tra gli eredi.

 In terzo luogo viene evocato l’art. 2919 c.c., il quale nel rendere inopponibili all’aggiudicatario i diritti acquistati dai terzi se tali diritti non sono opponibili ai creditori, attribuisce all’acquirente in sede di vendita forzata la medesima posizione assicurata al creditore procedente. In realtà, ai fini che qui interessano, il richiamo a questa norma non ci sembra del tutto pertinente, atteso che essa si limita a regolare il regime di opponibilità in capo all’acquirente degli atti posti in essere dal debitore dopo il pignoramento (o dopo l’iscrizione ipotecaria) ma non affronta e risolve il diverso problema della individuazione di colui contro il quale il decreto di trasferimento vada trascritto. 

vincdec10 pubblicato 28 ottobre 2020

Buongiorno.

Dunque nel caso di decesso del debitore esecutato prima che sia dipsota la vendita o comunque anche dopo che sia disposta-fissata la vendita, ma non sia ancora svolta.

La domanda è questa: gli eredi (figli e coniuge possono acquistare? oppure per poter comprare devono obbligatorimanete rinunciare all'eredità?

inexecutivis pubblicato 01 novembre 2020

L’art. 571 c.p.c., è perentorio nel prevedere che “ognuno, tranne il debitore” può offrire; stessa previsione si rinviene (a proposito della vendita con incanto) nell’art. 579, il quale dispone che tutti, tranne il debitore, possono domandare di partecipare all’incanto.

La ratio del divieto è stata variamente qualificata in dottrina. Taluni ritengono che il debitore non possa presentare offerte di acquisto perché è proprio nei suoi confronti che si agisce; altri sostengono che l’impedimento si ancori al fatto che il debitore non può acquistare la cosa propria, oppure ancora che la partecipazione di costui alla vendita scoraggerebbe potenziali interessati e gli consentirebbe di liberarsi dall’obbligazione con mezzi diversi da quelli stabiliti dalla legge  Quale che sia la ricostruzione dogmatica della proibizione (che deve ritenersi estesa anche agli eredi del debitore, poiché essi subentrano nella stessa posizione giuridica del loro decuius, a meno che non abbiano rinunciato all’eredità) non muta il dato, pacifico, della sua natura eccezionale rispetto alla regola dell’autonomia negoziale, e dunque del divieto di applicazione analogica ex art. 14 prel. Da qui l’affermazione per cui l’art. 571 c.p.c. non interessa i parenti ed il coniuge del debitore esecutato, a meno che non si possa provare l’esistenza di un mandato ad acquistare (Cass. 23 luglio 1979, n. 4407).

Fatta questa premessa, riteniamo che i parenti del debitore deceduto, fino a quando non hanno accettato l'eredità, possono formulare offerte di acquisto. Solo con l'accettazione dell'eredità, divenendo essi stessi debitori, incorrono nel divieto di cui all'art. 571 c.p.c.

vincdec10 pubblicato 14 dicembre 2020

Nel caso in cui invece sull'immobile posto in asta, vi sia un testamento nel quale l'esecutato deceduto abbia affidato ad un esecutore testamentario l'acquisto in asta o pre asta per conto ed intestazione definitiva nome di terzi beneficari del suddetto immobile, cosa succede all'apertura della successione?

Con la successiva pubblicazione del testamento, la procedura esecutiva seguira indipendentmente il suo corso, oppure dovrà adeguarsi alle volontà testamentarie?

inexecutivis pubblicato 16 dicembre 2020

Riteniamo che la procedura esecutiva sia del tutto insensibile ad una disposizione di questo tipo, poiché vorrebbe dire riconoscere al debitore la possibilità di indirizzare l'esito di una esecuzione forzata, cos che il nostro ordinamento non consente e non contempla.

vincdec10 pubblicato 16 dicembre 2020

Quindi, dunque, qualsasi disposizione successoria di natura testamentaria  che preveda un intermediazione del debitore nell'acquisto di un immobile  anche con lo scopo di soddisfare anche parzialmente col consenso i creditori e intestare definitivamente l'immobile a terzi benefiari, non è assolutamente ammessa dal nostro ordinameto? 

E' quindi i potenziali acquirenti e creditori,che vengano a conoscenza di queste prassi tesamentarie possono stare del tutto tranquilli?

inexecutivis pubblicato 18 dicembre 2020

riteniamo di si

vincdec10 pubblicato 27 dicembre 2020

Il coniuge del debitore esecutato che abbia comparto con lui un immobile in regime di comunione dei beni e durante il procedimento esecutivo ha cambiato regime, andando in separazione dei beni, può comunque partecipare all'asta?

rickhunter pubblicato 28 dicembre 2020

Non esiste che disposizioni testamentare dell'esecutato mettano paletti alla procedura o addirittura, si leggeva tra le righe, possa impedire la partecipazione di terzi all'asta.

Personalmente ho visto un'asta in cui un debitore, sono in seguito venuto a conoscenza dei fatti, in vista dell'esecuzione si separò dalla moglie PRIMA, dando così metà dell'immobile in proprietà alla separata. In questo modo all'asta è finito solo 1/2 dell'immobile. Chiaro che già questo solo basta a scoraggiare qualsiasi acquirente privato interessato ad abitare la casa, a meno che non si tratti di immobiliaristi. Ma successivamente la moglie, non so se con soldi propri o prestati, partecipò all'asta, come unica partecipante naturalmente, al prezzo minimo di offerta, recuperando l'altra metà. Che dire, il delitto perfetto, e purtroppo ce ne sono tanti di questi giochini nelle aste, se c'è qualcuno 'di famiglia' interessato ad un certo immobile, il rischio di non farcela è elevato.

vincdec10 pubblicato 29 dicembre 2020

 Questo può accadere credo, solo nei casi in cui l'immobile sia frazionabile o comunque divisibile.

Ma il mio quesito era relativo alla separazione dei beni non alla separazione coniugale.

inexecutivis pubblicato 30 dicembre 2020

Il tema posto dalla domanda non è di agevole soluzione, soprattutto all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione 14.3.2013, n. 6575 La Corte, partendo dalla premessa secondo cui la comunione dei beni nascente dal matrimonio è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa, afferma che il pignoramento deve colpire il bene per l’intero e per l’intero deve essere messo in vendita, con diritto del coniuge non debitore, in applicazione dei principi generali sulla ripartizione del ricavato dallo scioglimento della comunione, ad ottenere il controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva.

In questa procedura esecutiva il coniuge non debitore è soggetto passivo dell’esecuzione, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato con le seguenti conseguenze:

-      Il bene facente parte della comunione legale dei beni dovrà essere pignorato per l’intero anche quando ad agire è il creditore particolare del coniuge.

-      Il pignoramento deve essere notificato anche al coniuge non debitore poiché costui assume la posizione di parte processuale pur non essendo personalmente obbligato.

-      La documentazione ipocatastale depositata ai sensi dell’art. 567 dovrà riguardare entrambi i coniugi al fine di verificare se anche il coniuge non debitore abbia posto in essere atti dispositivi del bene pignorato.

-      Dovrà essere notificato l’avviso di cui all’art. 498 c.p.c. anche ai creditori particolari del coniuge non obbligato.

-      Occorrerà verificare che nella perizia di stima sia dato conto anche dei gravami (ipoteche, pignoramenti, domande giudiziali ecc. trascritte contro il coniuge del debitore).

-      Con il decreto di trasferimento dovranno essere cancellate anche le ipoteche eventualmente iscritte contro il coniuge non obbligato.

-      Il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%.

-      Per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l’art. 510, ultimo comma, c.p.c., che come sappiamo riconosce al debitore quanto sopravanza dalla distribuzione del ricavato.

Queste premesse rendono problematica la risposta relativa al se il coniuge dell’esecutato in regime di comunione possa partecipare alla vendita. Il problema si pone sulla scorta del combinato disposto di due norme: l’art. 579, comma primo, c.p.c., ai sensi del quale “ognuno, tranne il debitore, è ammesso a fare offerte all’incanto”, e l’art. 604 c.p.c. secondo il quale nel pignoramento contro il terzo proprietario, si applicano nei suoi confronti le disposizioni relative al debitore, “tranne il divieto di cui all’art. 579 primo comma”.

A tenore di una prima impostazione la possibilità di partecipazione dovrebbe essere ammessa sulla scorta del principio generale di cui all’art. 579 c.p.c.: poiché il divieto di partecipazione vale solo per il debitore, e tale non è il coniuge – sebbene esecutato - questi potrà formulare offerte. Sotto questo profilo la previsione di cui all’art. 604 c.p.c. sarebbe esplicativa del principio appena detto, poiché essa ammette il terzo proprietario alla gara proprio perché non debitore, tanto che, si potrebbe dire, la norma sotto questo profilo apparirebbe pleonastica.

A supporto di questa tesi pare esservi quanto deciso da Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 1982, n. 605., secondo cui “In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione dello art. 579 cod. proc. civ. denegativa per il debitore esecutato dalla legittimazione di fare offerte all’incanto - che non integra un divieto dell’acquisto da parte del debitore - costituendo norma eccezionale rispetto alla “regola” stabilita dallo stesso art. 579 per la quale la legittimazione all’offerta compete ad “ognuno”, non può trovare applicazione analogica per altre ipotesi od a altri soggetti non considerati in detta norma, neppure con riguardo al coniuge del debitore - ancorché sussista tra i coniugi il regime di comunione legale dei beni previsto dagli artt. 177 e segg. cod. civ. - sicché questi rientrando nell’ampia e onnicomprensiva categoria delineata dal richiamato art. 579 cod. proc. civ., è ammesso a fare offerte per l’incanto ed offerta di aumento del sesto dopo la aggiudicazione, senza che rilevi il fatto che, per volontà della legge, l’effetto traslativo del bene - operato direttamente soltanto in capo a lui quale offerente aggiudicatario - si ripercuota per la metà nel patrimonio del debitore esecutato”.

Sembrerebbe muoversi in questa direzione anche Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2007, n. 11258., la quale ha ribadito che “In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione contenuta nell’art.579 cod. proc. civ. (che inibisce al debitore esecutato la legittimazione di fare offerte all’incanto), costituendo norma eccezionale rispetto alla regola generale stabilita dallo stesso art. 579, non può trovare applicazione analogica rispetto ad altri soggetti non considerati in detta norma, salvo che non ricorra un’ipotesi di interposizione fittizia o che si configuri, in caso di accordo fra debitore esecutato e terzo da lui incaricato di acquistare per suo conto l’immobile, un negozio in frode alla legge”.

A siffatta ricostruzione può obiettarsi, da un lato, che il precedente della Cassazione, risalente al 1982, è l’evidente risvolto della ritenuta concezione “quotista” della comunione legale dei beni tra i coniugi; dall’altro, che se si ammettesse la possibilità per il coniuge non debitore di partecipare alla vendita, l’acquisto da lui compiuto ricadrebbe nella comunione, consentendo all’altro coniuge debitore di rientrare nella disponibilità del bene, così aggirando il divieto di cui all’art. 579 c.p.c.

Certamente, non pare revocabile in dubbio che l’art. 579 c.p.c. sia norma eccezionale, e dunque insuscettibile di applicazione analogica ex art. 14 prel.; riterremmo dunque di ammettere il coniuge non debitore alla partecipazione. Certo il problema dell’ingresso del bene all’interno della comunione con conseguente violazione del divieto di riacquisto si pone, ma ad esso può farsi fronte applicando i principi enunciati dalla giurisprudenza da ultimo richiamata, e cioè verificando di volta in volta se ricorre un’ipotesi di interposizione fittizia di persona.

vincdec10 pubblicato 01 gennaio 2021

Ho compreso abbastanza bene la spiegazione giurispudenziale.

Tuttavia mi sorgono ancora dei dubbi, quando si afferma: " Il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%.." significa che il conigue non debitore non si accolla le spese di procedura?

E poi :"Per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l’art. 510, ultimo comma, c.p.c., che come sappiamo riconosce al debitore quanto sopravanza dalla distribuzione del ricavato."- Ciò può quindi comunque prevedere anche  un eventuale intervento Con ricorso da parte del coniuge per ottenere con certezza la sua quota di distribuzione del ricavato?

Infine se il coniuge partecipasse ed acquistasse  in asta in regime di separazione dei beni, cambierebbe qualcosa? Nel senso che, si vedrebbe comunque assegnato parte del ricavato anche col nuovo regime?

Nell'ordine di graduazione dei crediti, quelli eventalmente da assegnare al coniuge non debitore quale posto ricoprono?

Vengono subito dopo quelli assistiti da privilegio ipotecario e spese di procedura?

Grazie per le delucidazioni che seguiranno.

inexecutivis pubblicato 03 gennaio 2021

Cerchiamo di rispondere separatamente a ciascuna delle domande formulate.

La Corte di Cassazione ha condivisibilmente affermato che il coniuge, poichè non debitore non si accolla nessuna spesa di procedura.

Per avere la metà del ricavato dalla vendita il coniuge non ha necessità di spiegare formale intervento, ma nulla gli impedisce di farlo.

Se acquista in regime di separazione dei beni non cambia nulla: vorrà dire che il bene acquistato non entra nella comunione.

La quota parte (50%) da assegnare al coniuge del debitore viene prima di ogni altro importo, anche di quelli relativi alle spese di procedura: al coniuge spetta la metà del ricavato dalla vendita.

vincdec10 pubblicato 03 gennaio 2021

Capisco, ma mi chiedo se la quota parte spetta sempre ed in goni caso?

Oppure solamente nel caso in cui vi sia un residuo che ecceda ad esempio credito del creditore pignorante o privilegiato?

L'eventuale intervento del coniuge come può essere formalizzato? mediante normale ricorso?

Grazie.

inexecutivis pubblicato 04 gennaio 2021

La quota spetta sempre in ogni caso, indipendentemente dall'ammontare dei crediti e dalla natura privilegiata o meno degli stessi.

L'eventuale intervento si dispiega come un qualunque intervento, mediante deposito di una memoria di costituzione. 

vincdec10 pubblicato 04 gennaio 2021

Perfetto. grazie

 

 

inexecutivis pubblicato 05 gennaio 2021

grazie a lei!

vincdec10 pubblicato 10 marzo 2021

Chiedo scusa un ulteriore informazione: Qualora il coniuge non sia debitore del creditore procedente ma sia solamente codebitore assieme all'altro coniuge di un mutuo bancario (intervenuto), egli avrebbe sempre diritto alla quota del 50% del ricavato?

inexecutivis pubblicato 11 marzo 2021

Se non ha subito il pignoramento si

vincdec10 pubblicato 12 marzo 2021

Il coniuge  codebitore della banca ,non ha subito il pignoramento della banca ma solamente quello effettuato dal crediotre privato procedente , come coniuge non debitore avendo acquistato  in regime di comunione legale dei beni.

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