Il tema posto dalla domanda non è di agevole soluzione, soprattutto all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione 14.3.2013, n. 6575 La Corte, partendo dalla premessa secondo cui la comunione dei beni nascente dal matrimonio è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa, afferma che il pignoramento deve colpire il bene per l’intero e per l’intero deve essere messo in vendita, con diritto del coniuge non debitore, in applicazione dei principi generali sulla ripartizione del ricavato dallo scioglimento della comunione, ad ottenere il controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva.
In questa procedura esecutiva il coniuge non debitore è soggetto passivo dell’esecuzione, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato con le seguenti conseguenze:
- Il bene facente parte della comunione legale dei beni dovrà essere pignorato per l’intero anche quando ad agire è il creditore particolare del coniuge.
- Il pignoramento deve essere notificato anche al coniuge non debitore poiché costui assume la posizione di parte processuale pur non essendo personalmente obbligato.
- La documentazione ipocatastale depositata ai sensi dell’art. 567 dovrà riguardare entrambi i coniugi al fine di verificare se anche il coniuge non debitore abbia posto in essere atti dispositivi del bene pignorato.
- Dovrà essere notificato l’avviso di cui all’art. 498 c.p.c. anche ai creditori particolari del coniuge non obbligato.
- Occorrerà verificare che nella perizia di stima sia dato conto anche dei gravami (ipoteche, pignoramenti, domande giudiziali ecc. trascritte contro il coniuge del debitore).
- Con il decreto di trasferimento dovranno essere cancellate anche le ipoteche eventualmente iscritte contro il coniuge non obbligato.
- Il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%.
- Per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l’art. 510, ultimo comma, c.p.c., che come sappiamo riconosce al debitore quanto sopravanza dalla distribuzione del ricavato.
Queste premesse rendono problematica la risposta relativa al se il coniuge dell’esecutato in regime di comunione possa partecipare alla vendita. Il problema si pone sulla scorta del combinato disposto di due norme: l’art. 579, comma primo, c.p.c., ai sensi del quale “ognuno, tranne il debitore, è ammesso a fare offerte all’incanto”, e l’art. 604 c.p.c. secondo il quale nel pignoramento contro il terzo proprietario, si applicano nei suoi confronti le disposizioni relative al debitore, “tranne il divieto di cui all’art. 579 primo comma”.
A tenore di una prima impostazione la possibilità di partecipazione dovrebbe essere ammessa sulla scorta del principio generale di cui all’art. 579 c.p.c.: poiché il divieto di partecipazione vale solo per il debitore, e tale non è il coniuge – sebbene esecutato - questi potrà formulare offerte. Sotto questo profilo la previsione di cui all’art. 604 c.p.c. sarebbe esplicativa del principio appena detto, poiché essa ammette il terzo proprietario alla gara proprio perché non debitore, tanto che, si potrebbe dire, la norma sotto questo profilo apparirebbe pleonastica.
A supporto di questa tesi pare esservi quanto deciso da Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 1982, n. 605., secondo cui “In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione dello art. 579 cod. proc. civ. denegativa per il debitore esecutato dalla legittimazione di fare offerte all’incanto - che non integra un divieto dell’acquisto da parte del debitore - costituendo norma eccezionale rispetto alla “regola” stabilita dallo stesso art. 579 per la quale la legittimazione all’offerta compete ad “ognuno”, non può trovare applicazione analogica per altre ipotesi od a altri soggetti non considerati in detta norma, neppure con riguardo al coniuge del debitore - ancorché sussista tra i coniugi il regime di comunione legale dei beni previsto dagli artt. 177 e segg. cod. civ. - sicché questi rientrando nell’ampia e onnicomprensiva categoria delineata dal richiamato art. 579 cod. proc. civ., è ammesso a fare offerte per l’incanto ed offerta di aumento del sesto dopo la aggiudicazione, senza che rilevi il fatto che, per volontà della legge, l’effetto traslativo del bene - operato direttamente soltanto in capo a lui quale offerente aggiudicatario - si ripercuota per la metà nel patrimonio del debitore esecutato”.
Sembrerebbe muoversi in questa direzione anche Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2007, n. 11258., la quale ha ribadito che “In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione contenuta nell’art.579 cod. proc. civ. (che inibisce al debitore esecutato la legittimazione di fare offerte all’incanto), costituendo norma eccezionale rispetto alla regola generale stabilita dallo stesso art. 579, non può trovare applicazione analogica rispetto ad altri soggetti non considerati in detta norma, salvo che non ricorra un’ipotesi di interposizione fittizia o che si configuri, in caso di accordo fra debitore esecutato e terzo da lui incaricato di acquistare per suo conto l’immobile, un negozio in frode alla legge”.
A siffatta ricostruzione può obiettarsi, da un lato, che il precedente della Cassazione, risalente al 1982, è l’evidente risvolto della ritenuta concezione “quotista” della comunione legale dei beni tra i coniugi; dall’altro, che se si ammettesse la possibilità per il coniuge non debitore di partecipare alla vendita, l’acquisto da lui compiuto ricadrebbe nella comunione, consentendo all’altro coniuge debitore di rientrare nella disponibilità del bene, così aggirando il divieto di cui all’art. 579 c.p.c.
Certamente, non pare revocabile in dubbio che l’art. 579 c.p.c. sia norma eccezionale, e dunque insuscettibile di applicazione analogica ex art. 14 prel.; riterremmo dunque di ammettere il coniuge non debitore alla partecipazione. Certo il problema dell’ingresso del bene all’interno della comunione con conseguente violazione del divieto di riacquisto si pone, ma ad esso può farsi fronte applicando i principi enunciati dalla giurisprudenza da ultimo richiamata, e cioè verificando di volta in volta se ricorre un’ipotesi di interposizione fittizia di persona.