A nostro avviso le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria relative al giardino continueranno a gravare, per il lotto non aggiudicato, al debitore.
Invero, manca nella disciplina delle esecuzioni individuali una norma analoga a quella di cui all’art. 30 della legge 220/2012 che individua nella curatela fallimentare il soggetto tenuto al pagamento delle spese condominiali maturate dopo la dichiarazione di fallimento.
La ratio sottesa al conio di questa disposizione ha il precipuo scopo di far subentrare la curatela al fallito nella titolarità delle obbligazioni condominiali al precipuo scopo di evitare che il fallimento medesimo si risolva in danno degli altri condomini onerandoli della necessità di sopportare le spese condominiali anche con riferimento alla quota parte gravante sul condomino fallito, per poi insinuarsi al passivo, sicché, considerata la nota ed evidente minore invasività del pignoramento rispetto alla dichiarazione di fallimento, il ricorso all'analogia è precluso anche dall'assenza di una eadem ratio.
Di riflesso, e sotto un diverso angolo prospettico, in materia di esecuzione forzata si pone il contiguo (ma non meno delicato) problema di comprendere se il creditore procedente possa essere chiamato ad anticipare le spese condominiali necessarie alla esecuzione di interventi di conservazione delle parti comuni, piuttosto che di manutenzione ordinaria o straordinaria.
Sul punto, mentre taluni enfatizzano la funzione "gestoria" della custodia, intesa non solo con riferimento ad una attività di conservazione mera del bene ma funzionale a preservarne le potenzialità economiche (Trib. Reggio Emilia, ord. 15.6.05) con la conseguenza che individuano in capo al creditore l'onere di anticipare tutte le spese che a questo fine la custodia, previa autorizzazione del Giudice, ritiene necessarie a questo scopo, altri (Trib. Napoli, ord. 24.10.2014) limitano questa funzione ad una attività di tipo conservativo, per cui sarebbero chiedibili quali spese dell'esecuzione al creditore soltanto le spese funzionali a questo più limitato scopo. Infine, altri ancora, muovendo dall'assunto per cui il bene pignorato diviene un patrimonio autonomo e separato che costituisce centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, di cui il custode è rappresentante d’ufficio in ragione del munus publicum conferitogli ex art. 560 c.p.c., le spese di custodia dovrebbero gravare in “prededuzione” sul ricavato della vendita quale “massa passiva” del patrimonio separato, sicché andrebbe escluso l'onere della relativa anticipazione a carico del creditore.
La tematica è stata recentemente sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, i quali hanno affermato che le spese necessarie alla conservazione stessa dell’immobile pignorato e, cioè, le spese indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell’immobile pignorato (con esclusione, quindi, delle spese che non abbiano un’immediata funzione conservativa dell’integrità del bene, quali le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria o gli oneri di gestione condominiale) in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della procedura di espropriazione forzata, essendo intese ad evitarne la chiusura anticipata, sono comprese tra le spese “per gli atti necessari al processo” che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 8, il giudice dell’esecuzione può porre in via di anticipazione a carico del creditore procedente. Tali spese dovranno essere rimborsate come spese privilegiate ex art. 2770 cod. civ. al creditore che le abbia corrisposte in via di anticipazione, ottemperando al provvedimento del giudice dell’esecuzione che ne abbia disposto l’onere a suo carico (Cass. civ., 22.6.2016. n. 12877).