Asta giudiziaria

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  • Ultimo messaggio 20 novembre 2018
pvfo pubblicato 15 novembre 2018

Vorrei un vostro parere. In un’asta giudiziaria viene acquistata una abitazione con annesso un box ripostiglio che il perito dichiara sanabile ai sensi della legge 380/2001. Presentata la domanda di sanatoria il comune la nega perché sul territorio vige un vincolo paesaggistico, viene inoltre emessa un’ordinanza di demolizione con segnalazione alla Procura della Repubblica. Il valore attribuito dal perito alla abitazione era di € 300.000,00 mentre al box da sanare un valore di € 29.000. Il perito prevedeva una diminuzione del prezzo di € 12.000,00 per la sanatoria. Siamo in presenza di un aliud pro alio o di un vizio parziale? Esiste in questo caso una responsabilità extracontrattuale da parte del perito? Faccio infine presente che a seguito del diniego della sanatoria è stata presentata una richiesta al giudice della procedura per avere la restituzione della somma versata per il box da demolire allegando gli atti del comune. Il giudice ha risposto che per le aste giudiziarie non vale l’artico 1490 cc. e ha respinto la richiesta.

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inexecutivis pubblicato 18 novembre 2018

La domanda formulata richiede una risposta articolata su più fronti.

L’aggiudicatario di un immobile il quale si avveda che il bene acquistato presenta vizi occulti, non conoscibili con l’ordinaria diligenza, non può agire per la risoluzione della vendita o ottenere la riduzione del prezzo, oppure ancora il risarcimento del danno nei confronti della procedura. Ad impedirlo è l’art. 2922 c.c., il quale esclude esplicitamente che nella vendita esecutiva trovi applicazione la disciplina della garanzia per i vizi della venduta.

Questo tuttavia non vuol dire che egli sia sprovvisto in assoluto di rimedi.

Infatti, egli potrà eventualmente agire nei confronti del perito stimatore, il quale soggiace alle regole generali in tema di responsabilità civile, e dunque all’art. 2043 c.c., che impone l'obbligo del risarcimento del danno a colui che compie un fatto illecito con dolo o colpa.

Quella dello stimatore, è una obbligazione di mezzi, e dunque la diligenza dovuta è quella di cui all’art. 1176, comma secondo, c.p.c.; se poi nello svolgimento dell’incarico egli è stato chiamato a svolgere di prestazioni di particolare difficoltà, la sua diligenza dovrà essere valutata secondo i criteri di cui all’art. 2236 c.c.. In questi termini si è pronunciata Cass. 2.2.2010, n. 2359, con riferimento al caso in cui lo stimatore aveva erroneamente determinato la superficie di un immobile pignorato.

Più in generale, secondo la giurisprudenza “L'esperto nominato dal giudice per la stima del bene pignorato è equiparabile, una volta assunto l'incarico, al consulente tecnico d'ufficio, sicché è soggetto al medesimo regime di responsabilità ex art. 64 c.p.c., senza che rilevi il carattere facoltativo della sua nomina da parte del giudice e l'inerenza dell'attività svolta ad una fase solo prodromica alla procedura esecutiva. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di condanna dell'ausiliare, che aveva proceduto a stima viziata, per difetto, nel computo della superficie dell'immobile, al risarcimento dei danni in favore di coloro cui era stata revocata, in conseguenza di tale errore, l'aggiudicazione in sede esecutiva)”. (Cass., 18.9.2015, n. 18313).

Nello stesso solco si è collocata, per altro recentemente, Cass., 23.6.2016, n. 13010, la quale ha affermato che “Il perito di stima nominato dal giudice dell'esecuzione risponde nei confronti dell'aggiudicatario, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per il danno da questi patito in virtù dell'erronea valutazione dell'immobile staggito, solo ove ne sia accertato il comportamento doloso o colposo nello svolgimento dell'incarico, tale da determinare una significativa alterazione della situazione reale del bene destinato alla vendita, idonea ad incidere causalmente nella determinazione del consenso dell'acquirente. (Nella specie, la S.C. ha escluso la responsabilità del perito in relazione ai costi sostenuti dall'aggiudicatario per la regolarizzazione urbanistica dell'immobile acquistato, maggiori rispetto a quelli indicati in perizia, evidenziando come gli stessi fossero ricollegabili ad una disattenzione dell'acquirente, che non aveva considerato la mancanza, pur rappresentata dall'ausiliario nel proprio elaborato, di alcuni documenti importanti ai fini della valutazione di tali oneri)”.

Diverso è il caso in cui il bene sia assolutamente inidoneo all'uso descritto o appartenga ad un genere del tutto diverso.

Si versa, in questo caso, nella ipotesi di aliud pro alio, la quale, nel qual caso l'aggiudicatario può ottenere la risoluzione della vendita e la restituzione del prezzo.

A questo proposito va tuttavia osservato che il rimedio va esperito attraverso lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi, che deve essere azionato - nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione - entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria (Cass., sez. III, 2 aprile 2014, n. 7708).

Fatte queste premesse di carattere generale, riteniamo che il caso prospettato rientri proprio in una ipotesi di aliud pro alio.

In proposito, occorre infatti osservare che secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, sotto un profilo funzionale l’aliud pro alio va ravvisato anche quando, successivamente al trasferimento, la cosa oggetto della vendita forzata risulti del tutto inidonea, nella considerazione economico-sociale, ad assolvere la funzione propria della cosa, quale risultante dagli atti del procedimento; così individuandosi il tratto distintivo dell'aliud pro alio, sub specie di mancanza delle particolari qualità della cosa necessaria ad assolvere la sua funzione economico-sociale rispetto al vizio redibitorio (che rientra, invece, nell'area dell'art. 2722 cod. civ.) in una situazione di radicale e definitiva compromissione della destinazione della cosa all'uso che, preso in considerazione nell'ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l'offerta dell'aggiudicatario” (così si è espressa Cass. Sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1669 in una fattispecie in cui la situazione di inagibilità dell'immobile era temporanea).

Più in generale, poi, la giurisprudenza di legittimità, in materia di compravendita ha affermato che all’aliud pro alio, è ascrivibile il caso dell’alienazione di un immobile privo del certificato di abitabilità (Ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009).

Va ancora ricordato che ai sensi dell’art. 173 bis n. 6 disp. att. c.p.c., tra i compiti dello stimatore dell’immobile rientra “la verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l’esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso previa acquisizione o aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica previsto dalla vigente normativa”.

Quindi, in definitiva, poiché l'immobile, posto in vendita come abitativo, è inidoneo a questo scopo, tranne che per quanto attiene al box ripostiglio, il rimedio risolutorio non può essere attivato.

pvfo pubblicato 18 novembre 2018

Grazie per la risposta ma non sono stato chiaro nella mia precedente esposizione. Preciso che l’abitazione è regolare e solo il box non lo è. Non si tratta di un vizio parziale visto che l’abitazione è pienamente idonea all’uso e solo un accessorio non si è potuto sanare per un errore di valutazione del perito che non ha tenuto conto del vincilo paesaggistico?

inexecutivis pubblicato 20 novembre 2018

Avevamo compreso il dato che ha inteso precisarci, e proprio per questo abbiamo ritenuto, nella precedente risposta, che non ricorressero i presupposti di operatività del rimedio risolutorio per vendita di aliud pro alio.

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