Adeguamenti e correzioni della stima

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chiara87 pubblicato 17 febbraio 2018

Salve,

Sono interessata all'acquista di un immobile sotto asta e mi trovo nella fase di raccolta e studio dei documenti. Nello specifico riguardo la perizia fatta sul suddetto immobile sto cercando di estrapolare i costi annessi. A tal proposito ho un dubbio su un paragrafo: "Adeguamenti e correzioni della stima" in cui c'è la seguente voce "riduzione del valore del 5%, dovuta all'immediatezza della vendita giudiziaria e per assenza di garanzia per vizi come da disp. del G.E. (Min 5%) = 8.400€... cosa significa? È un costo a carico di chi si aggiudica l'asta? Nello stesso paragrafo sono presenti gli altri costi da sostenere come: - spese tecniche di regolarizzazione urbanistica/catastale - costi di cancellazione e formalità - rimborso forfettario di eventuali spese condominiali insolute nel biennio anteriore alla vendita

Inoltre avrei altri due quesiti: 1. È legittimo contattare prima del giorno d'asta l'amministratore del condominio per conoscere quali siano le spese esatte (non stimate) che si dovrebbero sostenere nel caso in cui ci si aggiudicasse l'immobile? Anche per comprendere se siano presenti delle spese extra. 2. Chi deve sostenere il compenso per il custode, il tribunale o chi si aggiudica l'immobile? 3. poichè non riesco a mettermi in contatto col custode e vorrei poter visionare l'immobile non troppo a ridosso del giorno d'asta cosa posso fare per far valere il mio diritto?

Grazie molte in anticipo. Chiara

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inexecutivis pubblicato 21 febbraio 2018

Cerchiamo di rispondere separatamente a ciascuna delle domande formulate.

La riduzione del 5% non si traduce in un maggior costo da sostenere per l’aggiudicatario.

L’adeguamento indicato (peraltro assai frequente), è semplicemente una riduzione del prezzo base rispetto al valore di mercato applicata in considerazione del fatto che nelle vendite esecutive non trova applicazione la disciplina della garanzia per i vizi della cosa venduta, per espressa previsione dell’art. 2922 c.c.

Anche le spese tecniche di regolarizzazione catastale non sono un costo che l’eventuale aggiudicatario deve versare unitamente al saldo del prezzo. Si tratta dei costi che l’aggiudicatario deve, se vuole, sostenere ove intenda procedere alla regolarizzazione delle difformità che evidentemente l’esperto nominato per la stima ha riscontrato.

Quanto alle spese di cancellazione delle formalità pregiudizievoli, si tratta di spese che a nostro avviso non possono gravare sull’aggiudicatario.

Invero, l’art. 2 D.M. Giustizia 15 ottobre 2015, n. 227 nel prevedere che siano posti a carico dell’aggiudicatario la metà del compenso relativo alla fase di trasferimento della proprietà e delle le relative spese generali, nonché le spese effettivamente sostenute per l'esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale, implicitamente pone a carico della massa le spese di cancellazione delle formalità pregiudizievoli.

Nulla esclude, tuttavia, che il Giudice abbia diversamente disposto nell’ordinanza di vendita.

Si osservi a questo proposito che secondo la giurisprudenza, “In tema di vendita forzata, il giudice dell'esecuzione (o quello delegato al fallimento) può, con proprio provvedimento, porre le spese per la cancellazione delle trascrizioni ed iscrizioni gravanti sull'immobile trasferito a carico dell'aggiudicatario, anziché a carico del debitore (o della massa fallimentare), come disposto dagli artt. 2878 cod. civ. e 586 cod. proc. civ. (nonché 105 della legge fall.), poiché il principio dell'obbligo del pagamento delle spese predette a carico del debitore (o della massa fallimentare) non può dirsi inderogabile, non essendo tale inderogabilità sancita da alcuna norma di legge, e non avendo esso ad oggetto situazioni soggettive indisponibili” (Cass. n. 10909 del 25.7.2002).

Quanto alle spese condominiali, occorre premettere che ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.p.c. "chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso ed a quello precedente". Per anno in corso si intende non l’anno solare (per intenderci, I° gennaio – 31 dicembre), bensì all’annualità. Così la giurisprudenza, la quale ha osservato che “In tema di ripartizione delle spese condominiali, l’espressione “anno in corso”, di cui al previgente art. 63, comma 2, disp. att. c.c. – ora, in seguito all’approvazione della l. n. 220 del 2012, art. 63, comma 4, disp. att. c.c. - va intesa, alla luce del principio della "dimensione annuale della gestione condominiale", con riferimento al periodo annuale costituito dall’esercizio della gestione condominiale, il quale può anche non coincidere con l’anno solare”. (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7395 del 22/03/2017. Nella stessa direzione si era espresso, in precedenza, Trib. Bolzano, 10-06-1999, secondo il quale “Il comma 2 dell'art. 63 disp. att. c.c. si riferisce all'anno di gestione e non all'anno solare nel circoscrivere al biennio anteriore all'acquisto dell'appartamento in condominio l'obbligo solidale dell'acquirente - condomino subentrante - di far fronte al pagamento dei contributi non versati dal precedente condomino”).

Ciò detto, il potenziale interessato all’acquisto, a nostro avviso, non ha diritto ad ottenere dall’amministratore l’informazione richiesta.

In problema, tuttavia, è un altro, e sta nel fatto delle spese condominiali dovute dal debitore dovrebbe dar conto la perizia di stima.

Questo si ricava dall’art. 173 bis, n. 9 disp. att. c.p.c., ai sensi del quale la perizia deve contenere “l’informazione sull’importo annuo delle spese fisse di gestione o di manutenzione, su eventuali spese straordinarie già deliberate anche se il relativo debito non sia ancora scaduto, su eventuali spese condominiali non pagate negli ultimi due anni anteriori alla data della perizia, sul corso di eventuali procedimenti giudiziari relativi al bene pignorato”.

Orbene, dinanzi alla situazione prospettata nella domanda, il consiglio che possiamo offrire è quello di rivolgere istanza al professionista delegato (e poi, eventualmente, direttamente al Giudice se il delegato rimane inerte), nella quale, dopo aver rappresentato che:

1.             La perizia manca di un dato potenzialmente capace di incidere considerevolmente sul valore del bene;

2.             Questa mancanza determina una situazione di incertezza che scoraggia il mercato e dunque altera il fisiologico svolgimento delle operazioni di vendita;

3.             Il fatto che il perito non sia riuscito ad acquisire il dato e che l’amministratore non voglia sostanzialmente fornirlo malcelano possibili comportamenti distorsivi;

si chiede che il delegato domandi al Giudice di disporre la comparizione del perito al quale affidare il compito di verificare l’ammontare delle spese condominiali dovute dal debitore esecutato, ordinando altresì all’amministratore di condominio di esibire, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., i documenti dai quali questo elemento può desumersi.

Quanto al compenso spettante al custode, osserviamo che lo stesso va posto a carico della procedura e non può gravare in capo all’aggiudicatario. Invero, ai sensi dell’art. 65 c.p.c. la conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati (o sequestrati) sono affidate ad un custode, ove la legge non disponga altrimenti. L’art. 2770 c.p.c. dispone poi che le spese di conservazione delle cose pignorate sono prededucibili.

Infine, per quanto attiene alla visita del bene, osserviamo che ai sensi dell’art. 560, ultimo comma, c.p.c. Il giudice, con l'ordinanza di cui al terzo comma dell'articolo 569, stabilisce le modalità con cui il custode deve adoperarsi affinché gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita.

L’interessato, dunque, ha un vero e proprio diritto a visitare il bene. La condotta serbata dal custode che neghi questo diritto potrebbe inquadrarsi, a nostro avviso, nella fattispecie penale di cui all’art. 388, comma quinto, c.p., a mente del quale Il custode di una cosa sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell'ufficio è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a cinquecentosedici euro”.

Il suggerimento che ci sentiamo pertanto di offrire è pertanto quello di diffidare il custode alla consegna.

paolinopaperino pubblicato 25 febbraio 2018

Relativamente alla Sua affermazione “La perizia manca di un dato potenzialmente capace di incidere considerevolmente sul valore del bene” vorrei riportare il mio caso.

Nella perizia è solamente riportato che sono state rilevate “difformità tra la planimetria catastale e la planimetria di progetto, e comunque difformità tra le stesse e l’attuale stato dei luoghi in quanto è stata eliminata l’intercapedine lato sud, ampliando tutti i tre locali sino a raggiungere la parete perimetrale del fabbricato”

Ora sia la Legge Regionale che il Regolamento Edilizio Comunale riportano che l’altezza media interna netta non può essere inferiore a 2,30 metri per i locali destinati ad abitazione, riducibili a 2,10 metri per i locali accessori e di servizio e che l’altezza della parete minima non può essere inferiore a 1,50 metri per gli spazi ad uso abitazione e 1,30 metri per gli spazi accessori e di servizio.

Il perito segnala che “In via preventiva e preliminare sono ipotizzabili i seguenti possibili scenari... Le minime difformità interne sono sicuramente sanabili con apposita pratica amministrativa e catastale, i cui costi comprensivi di sanzioni e spese tecniche afferenti, sono quantificabili in un massimo 3.000 € (da intendersi anche quale costo per l’eventuale ripristino dello stato dei luoghi in quello antecedente ed approvato, in caso di esito negativo dell’istanza)”

Ripristinando l’intercapedine l’altezza della parete minima di 1,50 metri sarebbe rispettata; il problema è che la misura di colmo che sono riuscito a rilevare solo successivamente all’asta (che mi sono aggiudicato) è risultata essere inferiore (seppure di pochi centimetri) a quella che consentirebbe di rispettare la previsione normativa che l’altezza media interna netta non può essere inferiore ai 2,30 metri.

Non c’è nessun riferimento in perizia all’altezza di colmo e a quella media interna netta ed io, nel corso del primo sopralluogo (la cui durata - 10 minuti - permette di valutare, certamente non in maniera approfondita, esclusivamente le criticità emergenti dalla perizia) avvenuto prima dell’asta, mi ero concentrato su quella minima.

So che l’aggiudicatario entro 120 giorni dalla emissione del decreto di trasferimento deve depositare la domanda di concessione in sanatoria, in base alle norme dettate dal d.l. 23 aprile 1985, n. 16 e successive modificazioni e integrazioni che ha lasciato invariato tale termine.

In particolare, l’art. 40, comma 6, della legge n. 47/1985 prevede che, nell’ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità previste dalla legge stessa e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile.

È una strada percorribile in questo caso? A me non pare...

Se tale difformità impedisse di conseguire il certificato di agibilità come potrei tutelarmi?

inexecutivis pubblicato 01 marzo 2018

Come osservato nella domanda, l'aggiudicatario, qualora l'immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria. Precisiamo solo che il riferimento normativo è quello du cui all’art. 46, quinto comma, dpr 380/2001 (meglio noto come Testo Unico dell’edilizia).

Più articolata è la questione che afferisce alla eventuale impossibilità di ottenere l’agibilità dell’immobile.

Va premesso, in proposito, che ai sensi dell’art. 24 del d.P.R. 380/2001 il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi istallati, secondo quanto dispone la normativa vigente”.

Qui, sostanzialmente, si tratta di procedere ad una analisi del caso concreto, al fine di verificare se nell’ipotesi prospettata possa o meno dirsi ricorrente una ipotesi di aliud pro alio, e se di essa possa dolersi l’aggiudicatario.

In proposito, occorre osservare che secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, sotto un profilo funzionale l’aliud pro alio va ravvisato anche quando, successivamente al trasferimento, la cosa oggetto della vendita forzata risulti del tutto inidonea, nella considerazione economico-sociale, ad assolvere la funzione propria della cosa, quale risultante dagli atti del procedimento; così individuandosi il tratto distintivo dell'aliud pro alio, sub specie di mancanza delle particolari qualità della cosa necessaria ad assolvere la sua funzione economico-sociale rispetto al vizio redibitorio (che rientra, invece, nell'area dell'art. 2722 cod. civ.) in una situazione di radicale e definitiva compromissione della destinazione della cosa all'uso che, preso in considerazione nell'ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l'offerta dell'aggiudicatario” (così si è espressa Cass. Sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1669 in una fattispecie in cui la situazione di inagibilità dell'immobile era temporanea).

Più in generale, poi, la giurisprudenza di legittimità, in materia di compravendita ha affermato che all’aliud pro alio, è ascrivibile il caso dell’alienazione di un immobile privo del certificato di abitabilità (Ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009).

Ciò premesso, occorre ricordare che ai sensi dell’art. 173 bis n. 6 disp. att. c.p.c., tra i compiti dello stimatore dell’immobile rientra “la verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché l’esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso previa acquisizione o aggiornamento del certificato di destinazione urbanistica previsto dalla vigente normativa”.

Orbene, traendo le fila del discorso appena svolto, può affermarsi che, benché l’impossibilità di ottenere il certificato di agibilità possa costituire una ipotesi di aliud pro alio, occorre verificare quali siano, sul punto, le informazioni contenute nella perizia.

Se la perizia nulla afferma circa l’agibilità, si sarà in presenza di un difetto informativo che non è suscettibile di incidere sulla stabilità del decreto di trasferimento.

Diverso è il caso in cui il perito abbia attestato la sussistenza del certificato di agibilità o la sussistenza delle condizioni per ottenerlo. In questo caso probabilmente il rimedio può essere fatto valere.

A tale ultimo proposito è importante una notazione in ordine ai tempi entro i quali l’azione può essere fatta valere.

Secondo la giurisprudenza, infatti, l’aggiudicatario di un bene pignorato ha l’onere di far valere l’ipotesi di aliud pro alio con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi e quest’ultima deve essere esperita comunque - nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione forzata, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione - entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria Cass., sez. III, 2 aprile 2014, n. 7708.

paolinopaperino pubblicato 06 marzo 2018

La perizia circa l'agibilità afferma:

completamento di tutti gli interventi di cui sopra:

  • fine lavori: in data [ndr INDICATA];
  • richiesta agibilità: presentata in data 14-05-14 (prot. n. [INDICATO]);
  • esito della pratica: a tutt’oggi ancora in corso di rilascio.

 

Ricordo che In perizia è riportato solamente che sono state rilevate “difformità tra la planimetria catastale e la planimetria di progetto, e comunque difformità tra le stesse e l’attuale stato dei luoghi in quanto è stata eliminata l’intercapedine lato sud, ampliando tutti i tre locali sino a raggiungere la parete perimetrale del fabbricato” e che “In via preventiva e preliminare sono ipotizzabili i seguenti possibili scenari... Le minime difformità interne sono sicuramente sanabili con apposita pratica amministrativa e catastale, i cui costi comprensivi di sanzioni e spese tecniche afferenti, sono quantificabili in un massimo 3.000 € (da intendersi anche quale costo per l’eventuale ripristino dello stato dei luoghi in quello antecedente ed approvato, in caso di esito negativo dell’istanza)

Nel caso concreto l'altezza media (ovvero una delle due misure, oltre a quella minima di 1,50 metri, indicate dalla normativa regionale e dal PUC) risulta essere inferiore a quanto stabilito di circa 5 centimetri (e fuori dal limite di tolleranza del 2% di meno di un paio di centimetri).

Va da sé che la situazione non è individuabile dall'occhio umano (o quantomeno non dal mio, in 10 minuti di visita); sostanzialmente, a mio modo di vedere, non si sostanzia alcuna situazione di radicale e definitiva compromissione della destinazione della cosa all'uso ma, nel caso la C.A. dovesse negarmi l'agibilità vedrei dimezzato il valore dell'investimento  e negata la possibilità di accedere al mutuo per l'acquisto della prima casa, cosa che mi impedirebbe di completare i lavori (nonché l'arredamento) necessari per abitare l'immobile.

Cordiali saluti

inexecutivis pubblicato 08 marzo 2018

Gli ulteriori elementi forniti, ci permettono maggiore chiarezza, e ci consentono di affermare che non ricorre una ipotesi di aliud pro alio poiché il perito non ha affermato che il bene è munito del certificato di agibilità (oggi sostituito dalla SCIA).

Al contrario, il dato per cui la relativa richiesta è stata presentata il 14.5.2014, ci consente di affermare che verosimilmente il rilascio del certificato di agibilità è intervenuto per silenzio assenso, in forza dell’allora vigente art. 25 del d.P.R. 380/2001, (successivamente abrogato dall'art. 3, comma 1, lett. j), D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222) a mente del quale se sulla domanda di rilascio del certificato di agibilità, corredata della relativa documentazione il comune non si pronunciava nel termine di 30 o 60 giorni (a seconda che fosse stato rilasciato o meno il parere dell’A.S.L. o che lo stesso fosse sostituito dalla relativa autocertificazione) si formava il così detto silenzio assenso.

È chiaro che, intervenendo sull’immobile, occorrerà una nuova segnalazione, ai sensi dell’art. 24 d.P.R. 380/2001.

paolinopaperino pubblicato 08 marzo 2018

In realtà la C.A. ha riscontrato entro i termini previsti ma di tale comunicazione non si fa cenno alcuno in perizia. L'Ufficio competente mi ha informato che dovrà essere presentata una segnalazione certificata di agibilità parziale per l'appartamento; la pratica originaria faceva riferimento all'intero edifico (3 appartamenti).

Cordiali saluti

inexecutivis pubblicato 11 marzo 2018

esatto

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