Il fatto che il reclamo sia stato rigettato per una ragione diversa da quella indicata dal professionista delegato non costituisce elemento suscettibile di incidere sulla posizione delle parti e sui rimedi praticabili. Il Giudice dell’esecuzione rimane il dominus della procedura e quindi nell’esercizio dei suoi poteri bene ha fatto, se lo ha ritenuto, a confermare l’esclusione di un offerente anche se per motivi non coincidenti con quelli indicati dal professionista delegato. Una diversa prospettazione, infatti, si risolverebbe nella implicita affermazione della impossibilità per il Giudice di sindacare l’operato del delegato al di là dei motivi di reclamo.
Quanto ai meccanismi di funzionamento del 591 ter c.p.c., nei termini in cui li abbiamo esplicitati nella precedente risposta, essi si ricavano dal tenore letterale della norma, che riportiamo testualmente al fine di chiarirne la portata: “Quando nel corso delle operazioni di vendita, insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell'esecuzione, il quale provvede con decreto. Le parti e gli interessati possono proporre reclamo avverso il predetto decreto nonché avverso gli atti del professionista delegato con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza; il ricorso non sospende le operazioni di vendita salvo che il giudice, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione. Contro il provvedimento del giudice è ammesso il reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies”.
Comprendiamo che la lettura della precedente risposta può generare equivoci, e quindi precisiamo meglio. Dalla norma si ricava che:
quando è il professionista delegato a rivolgersi al Giudice dell’esecuzione poiché sono insorte difficoltà, il Giudice provvede con decreto. Questo decreto può essere reclamato davanti allo stesso Giudice, il quale decide con ordinanza reclamabile dinanzi al collegio ex art. 669 terdecies c.p.c., nel termine di giorni 15;
se invece viene direttamente reclamato dalle parti (o dagli interessati) un provvedimento del Giudice dell’esecuzione, questi provvede con ordinanza, reclamabile dinanzi al collegio ex art. 669 terdecies c.p.c., sempre nel termine di giorni 15.
Quanto al termine entro il quale impugnare ex art. 617 il decreto di trasferimento, osserviamo quanto segue.
Com'è noto, ad esecuzione iniziata, le opposizioni relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto, nonché quelle relative ai singoli atti dell'esecuzione, si propongono nel termine di 20 giorni decorrenti: dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto; dal compimento dei singoli atti che si assumono viziati, negli altri casi.
Quando a motivo dell'opposizione si deduce la mancata notificazione di un atto, o quando si impugna un atto di cui non si è avuta conoscenza per mancata notificazione, il termine per impugnare decorre – inevitabilmente – dal momento in cui il soggetto è venuto a conoscenza di detto atto o dell'atto, conseguenza, di cui il primo è presupposto. Così si esprime la giurisprudenza, laddove si è affermato che “In tema di opposizione agli atti esecutivi, qualora il soggetto coinvolto nella procedura esecutiva proponga tale opposizione invocando la nullità di atti del procedimento, assumendo che uno di essi, presupposto degli altri (nella specie, l'ordinanza dispositiva della vendita immobiliare emessa fuori udienza), non gli sia stato debitamente notificato, l'opposizione, ove formulata oltre il termine di cui all'art. 617, secondo comma, cod. proc. civ. dall'ultimo atto del procedimento stesso, è da ritenersi tempestiva soltanto se l'opponente alleghi e dimostri quando è venuto a conoscenza dell'atto presupposto nullo (cioè della sua mancata comunicazione e, quindi, della relativa nullità) e di quelli conseguenti, ivi compreso l'ultimo, e l'opposizione risulti avanzata nel termine (ora) di venti giorni da tale sopravvenuta conoscenza di fatto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6487 del 17/03/2010).
Questo concetto è stato successivamente ribadito, osservandosi che “Colui il quale propone opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 cod. proc. civ., ha l'onere di indicare e provare il momento in cui abbia avuto la conoscenza, legale o di fatto, dell'atto esecutivo che assume viziato, non potendosi altrimenti verificare il rispetto da parte sua del termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione” (Cass. Sez. 3, n. 7051 del 09/05/2012).
Dunque, il decreto di trasferimento deve essere impugnato nel termine di giorni 20 decorrenti dalla sua adozione (che si identifica con il suo deposito in cancelleria poiché è in quel momento che gli atti processuali vengono a giuridica esistenza); se esso viene impugnato oltre questo termine, l’opponente dovrà indicare e provare in quale momento ha avuto conoscenza del decreto, al fine di consentire al Giudice di verificare il rispetto di quel termine.
A proposito della registrazione, non abbiamo mai detto che il termine ultimo per proporre opposizione al decreto di trasferimento sia la sua registrazione. Abbiamo invece osservato che secondo la giurisprudenza (Cass., 2-4-1997, n. 2867; 28-8-1997, n. 7749; 20-10-1997, n.9630; 16-9-2008, n. 23709) il compimento delle formalità indicate al comma primo dell’art. 586, vale a dire registrazione (da eseguirsi nel termine di 60 giorni – art. 13, comma 1 bis, d.lgs 131/1986), trascrizione e voltura catastale del decreto di trasferimento (da compiersi nel termine di 120 giorni - art. 6, comma 2 D.Lgs. 31/10/1990, n. 347) segna il momento ultimo entro il quale il decreto di trasferimento può essere revocato dallo stesso Giudice nell’esercizio dei suoi poteri ufficiosi.
Sul punto, in particolare, si è detto che “In tema di espropriazione forzata immobiliare, il giudice dell'esecuzione può sempre revocare il decreto di trasferimento di sua iniziativa, anche dopo la scadenza del termine previsto dalla legge per la proposizione dell'opposizione di cui all'art. 617 cod. proc. civ., a meno che il provvedimento non abbia avuto definitiva esecuzione, momento, quest'ultimo, che si identifica non con quello dell'emanazione del decreto di trasferimento, ma con quello del compimento, da parte del cancelliere, delle operazioni indicate dall'art. 586 cod. proc. civ.”. (Sez. 3, Sentenza n. 24001 del 16/11/2011).